La rimozione delle radici
Se si conosce Istanbul forse non dovrebbe così stupire l’annunciata riconversione in moschea di Hagia Sophia/Ayasofya. Oltre gli intenti politici e le rievocazioni neo-ottomane di Recep Erdogan, Istanbul è una città che in qualche modo non esiste più, o meglio una città mutaforma che tenta violentemente di rimuovere le proprie stratificazioni storiche.
L’impero ottomano c’entra poi davvero poco, la città vecchia di Gerusalemme conserva molto più lo spirito ottomano rispetto ad Istanbul. Non c’è bisogno di andare troppo lontano con la Costantinopoli di viaggiatori come Edmondo De Amicis, basterebbe leggere “Istanbul” di Orhan Pamuk. Un libro sostanzialmente dove ai ricordi dell’autore si mischiano continuamente i ricordi di una città scomparsa. “Amo la città non per la sua genuinità, ma perché è un luogo complesso, una massa di costruzioni rimaste a metà o demolite”. Istanbul era città di turchi, greci, rom, ebrei, arabi, genovesi, armeni… non rimane granché dei suoi quartieri storici grazie alle “trasformazioni urbanistiche” volte alla gentrificazione, al risanamento, e alla ricostruzione in chiave “moderna”. Forse dovremmo felicitarci piuttosto che Hagia Sophia in tutto questo tempo sia rimasta ancora in piedi, e al suo posto non sia stato costruito un enorme centro commerciale.
Francesco Moises Bassano
(17 luglio 2020)