Populismo sovrano

Per il difficile graduale dopo-emergenza avremmo auspicato una fase di progettazione comune o quantomeno di confronto civile e collaborativo tra le forze politiche italiane, nel rispetto consapevole del periodo pesante che abbiamo alle spalle e del dolore che questi mesi hanno portato in molte famiglie, lasciando spesso gravi problemi economici e sociali dietro di sé. Ce la saremmo attesa anche in previsione del duro autunno che certamente ci aspetta, con una recessione alle porte e una crisi occupazionale incombente dopo la fine del periodo di cassa integrazione. Al contrario, il netto affievolirsi del contagio in Europa – non sappiamo se definitivo o segno di una semplice tregua, dato che altrove il Covid-19 colpisce con forza e sembra essere al climax della sua espansione – pare aver dato il la a una ripresa in grande stile delle polemiche puramente strumentali volte solo a una ricerca di visibilità, pane quotidiano e finanche ragion d’essere dei partiti di maggior rilievo, siano essi al governo o all’opposizione. Invece di essere considerato, con coerenza e responsabilità, una catastrofe dagli effetti lunghi e pervasivi quale è stata e sarà, il Coronavirus è di fatto interpretato da molti attori della politica nostrana come una parentesi sgradevole di pericolo e di chiusura, terminata la quale è finalmente possibile calcare di nuovo il palcoscenico menando fendenti alla parte avversa e lanciando battute a effetto per conquistare il pubblico, vale a dire i futuri elettori. Quasi nessuno dei maggiori schieramenti sembra ricordare che politica deve significare essenzialmente progetto sociale, programma di sviluppo, azione di governo e di corretta amministrazione, controllo della legalità volti comunque al benessere e al progresso della collettività, non trasformarsi in cordata e duello per l’affermazione del proprio potere, vale a dire per raggiungere la capacità di controllo sulle masse.
Niente di nuovo sotto il sole in quello che accade oggi, si dirà echeggiando Qoelet; la politica si è sempre manifestata come l’arte di conquistare e mantenere il potere attraverso il dominio e la manipolazione delle popolazioni. E’ vero, ma caratteristica del sistema democratico è o dovrebbe essere quella di far coincidere la concorrenza trasparente e leale per il potere con una effettiva partecipazione collettiva/rappresentativa alla dimensione politica e con un concreto progresso sociale. Oggi la classe politica appare molto distante da una base che si mostra sempre più diffidente nei confronti dei vertici e poco coinvolta nella costruzione dei programmi. Accade piuttosto il contrario: sono i capi ad aver bisogno della gente, anzi del “popolo” per poter continuare ad esistere e a esercitare il loro ruolo. E sempre più spesso la ricerca del consenso popolare, la comunicazione verso i sostenitori avvengono non in modo dialogico e pacato ma in modo aggressivo, autoreferenziale, tendente all’autoesaltazione di massa e/o alla colpevolizzazione di alcuni settori della società: in una parola, in modo populistico.
Populismo, ecco il termine che esprime bene la tendenza di gran lunga prevalente nell’attuale scena politica italiana. Termine già ampiamente analizzato da tanti politologi; tendenza che anche io su queste colonne ho cercato in passato di decifrare. Senza ripetere cose già dette, proviamo piuttosto a cogliere la natura populista di alcuni recenti ed “esemplari” comportamenti politici di importanti forze politiche italiane.
A destra, l’alleanza tattico-strategica tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni (che nasconde in realtà una forte concorrenza tra Lega e Fratelli d’Italia per il controllo di un vasto settore dell’elettorato) ha costruito negli ultimi mesi almeno due occasioni di forte propaganda, in un clima di costante campagna elettorale per due partiti in cerca di consensi più che di costruzione politica. Le manifestazioni del 2 giugno e del 4 luglio (date non scelte a caso, evidentemente, ma spunto per fantasiose reinterpretazioni sovraniste della Festa della Repubblica e dell’Indipendenza americana) testimoniano la populistica esigenza di bagni di folla, linfa vitale per gruppi che campano di aggregazione emotiva e di slogan di condanna anti-sistema spesso alimentati da fake-news. Osservare le immagini di Salvini in piena “azione (per lui) politica” in Piazza del Popolo è illuminante: un susseguirsi interminabile di selfies con ammiratrici entusiaste e sorridenti. Ecco la politica (?) populista della conquista-dell’appiattimento-dell’idolatria quasi fisica del personaggio: inesistente in termini di contenuti effettivi, straordinariamente efficace in termini di conquista di voti; ed è quest’ultimo l’aspetto che conta davvero per le forze populiste.
Sul versante (attualmente) opposto, guardiamo all’atteggiamento del Movimento Cinque Stelle nella vicenda del contenzioso con Autostrade per l’Italia in seguito al crollo del Ponte Morandi. Una situazione che alla fine è stata forse risolta senza contraccolpi economici traumatici per la già ansimante economia italiana. Una questione, però, che il M5S ha cavalcato sin dall’indomani della tragedia come una personale battaglia di principio contro la famiglia Benetton e il gruppo Atlantia, certo pesantemente coinvolti nelle gravi inadempienze a monte del fatto, ma implicati quanto lo Stato e i governi che avrebbero dovuto sorvegliare lo svolgimento di controlli sulle strutture. Eppure, anche a prescindere del processo che è in corso e stabilirà chi sono i responsabili e come risponderanno dell’accaduto, c’era bisogno di un gruppo (meglio se una grossa struttura economica) da individuare quale responsabile pressoché esclusivo agli occhi del pubblico. E ciò anche a prescindere da quali sarebbero stati per il Paese i contraccolpi economicamente negativi di una revoca netta della gestione. Il giustizialismo un po’ giacobino del Movimento, da tempo ormai forza di governo ma non sempre dotato di un adeguato senso di responsabilità, esigeva l’identificazione di una sorta di capro espiatorio, utile strumento per acquisire e rivendicare, con atteggiamento populista, un vasto consenso.
L’unica grossa forza politica nazionale che per fortuna non si distingue per atteggiamenti scopertamente populistici è il PD, costruttivamente più interessato al lavoro di autentico governo che a quello propagandistico. Peccato che il senso delle istituzioni e la volontà di evitare spaccature lo portino nella fase attuale a non far adeguatamente risaltare la sua voce critica all’interno dell’esecutivo. Col risultato che ad emergere e spesso a risultare vincenti sono le due opposte (ma non troppo) tendenze populiste. Populismo sovrano dunque, più che popolo sovrano.

David Sorani