Ticketless – Addio Lugano bella

Dispiacerebbe se questo portale sorvolasse sulla scomparsa di Paolo Finzi, sulla triste sua morte solitaria, avvenuta una decina di giorni fa. Ne scrivo qui, pur avendolo conosciuto soltanto attraverso la conduzione della maggiore rivista di storia dell’anarchia, ma vivo in me è il ricordo famigliare, per via di comuni memorie resistenziali, di sua madre, Matilde Bassani, partigiana ferrarese. E dire che il rapporto fra ebraismo e anarchia è stato importante per lui, forse più del rapporto fra ebrei e movimento partigiano che gli derivava dalla figura materna. Anarchici ed ebrei, nella visione sociale del positivismo lombrosiano, erano entità anomale, al pari degli uomini e delle donne “delinquenti”, ma oltre alla solidarietà fra reietti dell’antropologia criminale, dietro a figure come Finzi ci sono le fonti profetiche e il sogno di un riscatto che assomiglia, ma non è lo stesso del marxismo-leninismo. Penso naturalmente alla figura dell’anarchico Camillo Berneri, che studiò con attenzione l’antisemitismo, fu tra i primi a deplorare “il delirio razzista” del Duce, ma nella guerra di Spagna fu ucciso da sicari staliniani. Nei miei giovani anni ho avuto anch’io un quarto d’ora di simpatia per l’anarchia. Il mio piccolo maestro fu Aurelio Chessa depositario a Pistoia della carte Berneri. Nelle stanze dell’archivio muoveva i suoi primi passi Furio Biagini che al rapporto ebraismo-anarchia dedicherà studi importanti. Il caso ha voluto che la morte di Finzi coincidesse con la lettura del libro di Massimo Bucciantini “Addio Lugano bella” (Einaudi), ultimo di una trilogia sulla libertà inaugurata con un lavoro sul monumento romano a Giordano Bruno, cui ha fatto seguito uno studio sulla messincena al Piccolo Teatro di Milano del “Galilei” di Brecht. Dei tre libri, questo per me è il meno riuscito, ma devo scusarmi con l’autore: la mia lettura è stata condizionata dall’endorsement, per me incomprensibile, che ho letto nella premessa. Proprio non mi è andato giù di leggere che Pisa essendo da sempre culla di sovversivi legittimi i protagonisti del Sessantotto fra gli eredi di Pietro Gori, l’autore appunto della celebre canzone anarchica. Qui mi sembra si annidi un diffuso equivoco che riguarda più generalmente la recente storia d’Italia e gli effetti del caso-Pinelli e Valpreda: anarchici e marxisti-leninisti si ritrovarono uniti dopo piazza Fontana, ma i gruppetti extra-parlamentari della contestazione giovanile figli del boom nulla poco avevano a che spartire con la vita terribile di Gori, ma anche con l’esilio doloroso di Mazzini, altro sovversivo che con i leader del Sessantotto nulla aveva a che dividere. Sono dubbi e domande che avrei voluto porre a Paolo Finzi, se solo avessi avuto la fortuna di conoscerlo.

Alberto Cavaglion

(29 luglio 2020)