Lamentazioni

Ieri durante il digiuno di Tishà Be-Av abbiamo letto il libro di Ekhà, delle Lamentazioni. Siamo in un periodo in cui di lamentazioni se ne sentono moltissime, alcune giustificate, altre meno. Ci sono i casi clamorosi di lamentazioni che non si possono sentire, come chi evade le tasse e si lamenta che la sanità non funziona o chi dichiarava al fisco poche migliaia di euro all’anno e lamenta mancati guadagni per decine di migliaia di euro nei soli due mesi del lockdown. Poi ci sono quelli che hanno effettivamente buone ragioni per lamentarsi ma sembra che non possano fare a meno di prendersela con qualcuno: troppe chiusure, regole troppo rigide, troppe mascherine (ma appena il contagio risale sono prontissimi a lamentarsi per il troppo lassismo e i pochi controlli). E nei casi in cui non ci sono responsabilità dirette da addossare c’è sempre la possibilità di accusare qualcuno di non aver fatto abbastanza, o di aver fatto una cosa anziché un’altra. Si fanno le videolezioni, e subito qualcuno è pronto a puntualizzare che la scuola in presenza è molto meglio, si tengono incontri, conferenze e lezioni di rabbini con zoom e qualcuno si scandalizza per le sinagoghe vuote anche in comunità dove l’elevato numero di persone anziane giustifica abbondantemente la prudenza. A volte si tratta di critiche costruttive, ma in altri casi dai toni usati sembra quasi che le soluzioni di ripiego a cui siamo stati costretti per salvare vite umane siano state una scelta ideologica e non una triste necessità.
Il libro di Ekhà, le Lamentazioni per eccellenza, in un contesto in cui non mancherebbero davvero le persone con cui prendersela (a partire da Nabuccodonosor), non dà la colpa a nessuno se non a noi stessi; e non si parla tanto del re o delle classi dirigenti, ma proprio di tutto il popolo: si usa infatti la prima persona plurale per parlare delle nostre responsabilità nella stessa misura in cui la si usa la si usa per enumerare le nostre sventure. Dunque lamentarsi non è vietato, anzi, in alcuni contesti è giusto e forse doveroso, ma non è obbligatorio cercare sempre qualcuno a cui addossare le responsabilità.

Anna Segre, insegnante

(31 luglio 2020)