Nord e Sud

In un bel video si apprende che, a seguito della Guerra dei Sei Giorni, “numerosi israeliti, provenienti dal mondo arabo, portarono a Roma il credo di un’appartenenza assai conservatrice alla più antica delle grandi religioni monoteiste. A differenza del nord Italia, dove vi erano atteggiamenti assai più aperti, moderni e riflessivi”.
Restano degli stimolanti interrogativi: questi “israeliti” così numerosi, sarebbero rimasti conservatori nell’ambito di uno splendido isolamento, oppure avrebbero “contagiato” gli ebrei di Roma? Visto che sono trascorsi 53 anni, sono eventi superati oppure ancora attuali? Per rispondere, occorrerebbe por mano a studi sociologici, che evidenzino la composizione dei diversi “ceppi” e la loro distribuzione nel tempo e nello spazio.
Il problema più intrigante potrebbe risiedere nell’attribuzione di “conservatori”, la quale qualifica si contrappone ad “innovatori”, se non vi fosse anche una indicazione geografica, che sposta l’accento non più sugli ebrei libici nel rapporto con gli ebrei romani, bensì sul nord (“più aperto, moderno e riflessivo”) contrapposto a ciò che, nel dizionario dei sinonimi e dei contrari, finirebbe per essere il suo contrario: più chiuso, obsoleto e restio alla riflessione?
Finirebbe, se non vi fosse nel ragionamento una forte eco della nozione seriore di “ceto medio riflessivo”, che riporta ad ulteriori distinzioni (che non condividiamo, perché si sovrappongono quasi senza scarti alla divisione fra lavoro autonomo e subordinato) basate sul “bridging” e sul “bonding”, che afferiscono alla nozione di classe sociale, mentre qui l’oggetto è costituito dalla nozione di popolo, in questo caso, ebraico.
Infatti, tutto ciò pertiene ad un altro ambito, mentre nel nostro caso vi è una specificità ebraica, che non può essere colta coi soli soggiorni e con le sole conoscenze in Israele, ma che si trova negli scaffali, materiali oppure virtuali.

Emanuele Calò, giurista