La crisi dei poteri terzi
La mamma del maggior imputato per i fatti della caserma dei carabinieri di Piacenza ha, senza volerlo, indicato una traccia sulla quale sarebbe utile una riflessione. La signora ha infatti affermato che suo figlio è “un bravo ragazzo” e che è stato accusato solo perché napoletano. Al di là delle intenzioni di questa affermazione, essa costituisce uno stimolo per porsi una domanda che ormai – di fronte ai ripetuti casi di gravi violazioni dei principi etici prima ancora che giuridici che dovrebbero essere alla base del comportamento dell’Arma dei Carabinieri – non possiamo non porci: quali sono i criteri di selezione in base ai quali si entra a far parte dell’Arma?
Per essere più espliciti, si ha l’impressione di una sorte di contiguità tra il reclutamento dei giovani nelle file della criminalità organizzata e quello tra le forze dell’ordine. Quasi come se una larga parte dei giovani meridionali, in assenza di altre valide alternative, si trovasse di fronte alla scelta se gli conviene di più – in termini di reddito, di carriera ecc. – entrare a far parte della criminalità oppure se scegliere la strada dell’arruolamento nell’Arma, senza che questa scelta sia vissuta realmente come alternativa tra due concezioni di vita prima ancora che di lavoro.
Capisco che posta in questi termini l’ipotesi stessa possa sembrare paradossale; ma se rinunciamo a porla in termini astratti, di contrasto di valori, e ci mettiamo invece dal punto di vista di un giovane meridionale, cresciuto in un ambiente dove i valori fondamentali sono quelli della fedeltà al clan di appartenenza e non quelli enunciati nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo o nella stessa Costituzione italiana, allora essa può apparire meno paradossale.
In ogni caso, se il ministro della Difesa, – che ha la responsabilità politica di quanto accade nell’Arma – piuttosto che i vertici dell’Arma stessa, volesse affrontare davvero il problema di deviazioni così gravi e così frequenti rispetto alle regole che dovrebbero guidare il comportamento dei custodi dell’ordine, dovrebbe istituire una commissione d’inchiesta che non sia esclusivamente interna all’Arma, ma che affronti senza condizionamenti il problema.
Certamente non possiamo nasconderci che questa grave crisi di credibilità dell’Arma dei Carabinieri non costituisce un fatto isolato ma è parte di una più generale crisi di credibilità dei poteri terzi che costituiscono – o dovrebbero costituire – l’ossatura di uno Stato di diritto. Non si può ignorare che una crisi di natura diversa ma non per questo meno grave ha investito la magistratura, con la quale l’Arma dei Carabinieri ha uno stretto rapporto. A un livello diverso, ma non meno condizionante, si pone anche la crisi di credibilità della burocrazia statale che spesso viene additata come la causa prima di tutti i mali del Paese.
È di scarsa consolazione sostenere che la crisi dei poteri terzi caratterizza molti altri Paesi oltre all’Italia. Intanto non è vero, almeno nei termini nei quali questa crisi si è posta nel nostro Paese. Ma se così fosse ciò costituirebbe una lesione gravissima per le fondamenta stesse dello Stato di diritto, che è ciò che ancora distingue le democrazie occidentali dalle tante forme di potere arbitrario che costituiscono la regola nella maggior parte degli altri Paesi.
Valentino Baldacci