Franca Valeri (1920-2020)

Aveva appena compiuto un secolo, ricevendo i tributi e i riconoscimenti che spettano a chi ha lasciato un segno indelebile nella cultura italiana. Il grande affetto di soli pochi giorni fa, in queste ore si è trasformato in commozione e cordoglio: a 100 anni Franca Norsa, in arte Franca Valeri, ci lascia e l’Italia intera le rende omaggio. “Ci ha lasciato una grande donna. Geniale, poliedrica, sempre in anticipo rispetto ai cambiamenti dei tempi attraversati nei suoi cento anni di vita. Lascia un vuoto ma anche una grande eredità nel cinema, nel teatro, in tutta la cultura italiana”. Il ricordo del ministro della Cultura, Dario Franceschini. “Un’attrice versatile e popolare, che rimarrà nel cuore degli italiani per la sua grande bravura e la sua straordinaria simpatia”, l’ultimo saluto del capo dello Stato Sergio Mattarella.
Nata a Milano nel 1920, cresciuta in una famiglia ebraica parte del tessuto borghese della città, Valeri iniziò nel dopoguerra una lunga e brillante carriera, conquistando con la propria ironia e intelligenza diversi palcoscenici: dalla radio al cinema, dal teatro alla televisione. Vittorio De Sica, Alberto Sordi, Sofia Loren, Mario Monicelli, Totò, Luchino Visconti saranno alcuni dei suoi compagni di avventura. Tra i suoi personaggi più ricordati e amati, la signorina Cesira, alias signorina snob, e la sora Cecioni, popolana di Roma. Entrambe un ritratto folgorante dell’Italietta postbellica, una società in continua trasformazione di cui l’attrice saprà interpretare vizi e debolezze.
Inizia a recitare giovanissima, nell’Italia fascista. Il nome d’arte è un omaggio al poeta francese Paul Valery, ma è anche il doloroso segno di una dura necessità: nascondere il proprio cognome ebraico durante la dittatura fascista. “Fu un infausto periodo. Ricordo, su tutto, il profondissimo antifascismo di mio padre, un sentimento politico viscerale. Arrivò addirittura a detestare l’Italia, il suo paese: riusciva a essere felice solo quando ci trovavamo all’estero. A me e mio fratello toccava anche vestirci da balilla. Eravamo solo dei bambini ma, grazie all’esempio di nostro padre, sviluppammo un precoce senso critico nei confronti della dittatura. Man mano che crescevamo, cresceva anche l’oppressione fascista: il colpo di grazia venne con la proibizione di frequentare la scuola. Fu un’esperienza atroce, mi fece capire molte cose. Me la cavai facendo due anni in uno, ma non fu facile inghiottire il rospo”, racconterà a Pagine Ebraiche in un’ampia intervista firmata da Manuel Disegni. Sotto l’oppressione fascista Norsa affinerà le sue capacità di cambiare identità, di giocare tra diversi “io”. “Prima ingannai i fascisti – ricorderà – e presi il diploma. Poi cambiai identità: ci fu un momento in cui io non ero io; ma così sfuggii ai nazisti. Questo mi ha aiutato a sentirmi ebrea, come mio padre”. Rispetto al suo legame con l’ebraismo, spiegherà: “L’ebraismo rappresenta le mie radici, ed è anche la ragione per cui ho subito le persecuzioni. Fa parte della mia natura, un sentimento profondo e antico che mi ha fatto capire molte cose”.
Dopo una vita nello spettacolo, di recente aveva confessato: “oggi sto qui a casa e non nella mia casa naturale, il teatro. Non recito più e non capisco quasi nemmeno il perché. Vorrei ancora ripagare l’affetto della gente continuando a lavorare”.

Sia il suo ricordo di benedizione