Israele e lo spettro di nuove elezioni

L’appello alla coalizione di governo di poche settimane fa del Presidente d’Israele Reuven Rivlin sembra rimasto inascoltato. I rumori di possibili elezioni anticipate stanno aumentando di ora in ora. “Smettete di parlare di elezioni anticipate, di quella terribile opzione in questo momento, e salvatevi da essa. Lo Stato di Israele non è una bambola di pezza che vi trascinate dietro mentre bisticciate. La gente ha bisogno che siate tutti concentrati e che troviate soluzioni a questa crisi. Siamo nelle vostre mani”, le parole di Rivlin a fine luglio. Quasi una supplica ai due partiti principali della coalizione, Likud e Kachol Lavan, a dare risposte al paese e smettere con i contrasti interni mentre la pandemia continua a preoccupare la nazione. Ma il tema del Bilancio continua a dividere i due partiti: il Kachol Lavan di Benny Gantz vuole l’approvazione di un budget biennale, come sancito nell’accordo di coalizione; il Likud di Benjamin Netanyahu invece propone una soluzione a un anno. Se non dovesse arrivare un’intesa entro il 25 agosto, la Knesset dovrà essere sciolta e, per la quarta volta in due anni, gli israeliani si vedrebbero costretti a tornare alle urne. Per Zeev Elkin, ministro considerato molto vicino a Netanyahu, “se Kachol Lavan non tornerà sui suoi passi, la probabilità di un’elezione è molto alta. In quel caso, sarà spazzato via alle urne”. “Non c’è motivo per tenere in ostaggio i cittadini – l’affondo di Elkin – solo perché qualcuno è salito su un albero e non sa come scendere”. Per tutta risposta da Kachol Lavan dichiarano che l’unica via per superare la frattura è rispettare l’accordo di coalizione e approvare un bilancio biennale. “Non c’è nessun altro motivo per non approvarlo se non la riluttanza a rispettare l’accordo di rotazione”, la lettura del ministro della Giustizia Avi Nissenkorn di Kachol Lavan. Ovvero, Netanyahu vuole un bilancio di un anno in modo da avere mano libera per far cadere l’esecutivo prima di lasciare nel novembre 2021 il proprio posto – come da accordi – a Gantz, Primo ministro in panchina di questa strana legislatura nata tra sospetti e divisioni. “Ci sono solo due persone che vogliono le elezioni e nove milioni che non le vogliono o non ne hanno bisogno. Una vuole migliorare la sua posizione politica, e l’altra la sua situazione legale e personale”, l’accusa di Gantz in riferimento al leader dell’opposizione Yair Lapid e a Netanyahu, che deve affrontare il suo processo per corruzione. Il tasso di gradimento di Netanyahu in queste settimane è sceso di molti punti a causa del riemergere della pandemia e della crisi economica. L’ultimo sabato ha visto quindicimila persone riunirsi a Gerusalemme per chiederne le dimissioni e secondo i media tra i manifestanti cominciano a vedersi anche volti legati alla destra. Lo zoccolo duro rimane in ogni caso al fianco del Premier, che non ha ancora scoperto le sue carte. Trascinare il paese in nuove elezioni – con una disoccupazione alta e una società profondamente preoccupata – potrebbe essere un gioco pericoloso anche per una figura politica scafata come Netanyahu.