La piazza vista da vicino

Non conosco G.Yohanan Di Segni, ma vivendo da 60 anni a due passi dalla residenza ufficiale del Primo ministro israeliano a Gerusalemme, mi permetto di mettere le manifestazioni attuali sotto casa mia in luce differente da quanto da lui presentato. Anzitutto, sì anch’io temo l’affollamento in tempo di Covid-19 e mi tengo lontano, ma i dati del contagio in Israele sono altri da quelli insinuati dal Di Segni, come se della recrudescenza della pandemia in Israele fossero responsabili le manifestazioni contro Netanyahu e la “bella vita”: i focolai del contagio principali sono nelle zone haredi e arabe (yeshivot e matrimoni in locali coperti).
La riapertura troppo rapida dell’economia non è stata conseguenza del governo detto d’unità nazionale, ma dall’assenza di un programma metodico che si sarebbe dovuto preparare durante i primi mesi della chiusura e dal rifiuto del Netanyahu di concentrare in mano meno “politiche” l’implementazione integrata di misure e strategie di controllo che avrebbero potuto contenere la pandemia e rimettere progressivamente in moto il mercato. Netanyahu ha preferito presentarsi ogni sera alla televisione per dare ordini e contrordini contraddittori, direttamente dalla sua voce, credendo così di rinforzare la propria posizione elettorale, ma creando invece il disorientamento e la perdita di fiducia e di disciplina della popolazione.
Sì l’atmosfera della manifestazione è “anarchica” nel senso che non c’è direzione unitaria e quasi ognuno o ogni gruppetto viene col suo cartello personale inventato, col suo motto, con la sua improvvisazione artistica o espressiva, in tutte le direzioni morali, religiose, civili, economiche, sociali, democratiche, anti-corruzione, e anche politiche dalla sinistra alla destra liberale. Molti giovani trovano in piazza l’atmosfera delle discoteche che sono chiuse da mesi. Violenza viene usata soltanto dai gruppi, per ora piccoli, che manifestano in difesa cieca di Netanyahu, e che la polizia cerca di tenere separati. Tra i manifestanti contro Netanyahu, alcune decine più persistenti resistono non violentemente ai tentativi della polizia di riaprire le strade bloccate per la manifestazione, dopo che alle 23.00 la grande maggioranza (sabato sera, 15 mila) si è dispersa pacificamente.
Certo, l’economia israeliana era in condizione ideale per affrontare la pandemia, ma Netanyahu, ultra neo-liberale, ha preferito, all’inizio, aprire quanto meno la borsa del Tesoro (il tasso più basso relativamente a tutti i paesi sviluppati) per i disoccupati e le piccole aziende, al contrario delle larghe sovvenzioni ai grandi affari e ai potenti. Ultimamente, spaventato dalle manifestazioni, ha improvvisamente deciso di spargere tra tutti i cittadini, anche se non colpiti dalla pandemia, una somma unica pari a quasi 200 euro come tassa di silenzio, invece di un piano serio per compensare a lungo raggio chi non ha reddito a causa della crisi e delle misure che sono e saranno nuovamente imposte dal governo.
Non mi sarei certo immaginato di dover invidiare l’Italia, che pur avendo un governo di coalizione non meno strana di quello israeliano, pur avendo iniziato la pandemia in modo tragico e di estrema impreparazione, pur avendo frontiere molto meno “chiudibili” di quelle israeliane, pare adesso sulla via di rinnovamento civile ed economico, da zona verde e aperta all’Europa e al turismo. L’Israele di Netanyahu invece è zona rossa, senza turismo e senza voli, con l’economia in crisi, e si prepara per un nuovo (quarto) turno d’elezioni, voluto, pare, da Netanyahu per anticipare il suo processo che si svolgerebbe, forse, da gennaio, e la minaccia di dover lasciare l’anno prossimo il posto di primo ministro, secondo l’accordo di coalizione attuale.

Rimmon Lavi, Gerusalemme