Israele, democrazia viva

È da tempo sotto gli occhi preoccupati di noi tutti la difficile situazione di Israele, alle prese con la seconda ondata di una pandemia non più sotto controllo e con le continue, pesanti proteste popolari contro un governo non in grado di fornire direttive sicure utili a favorire una diminuzione del contagio. Le risposte dell’esecutivo appaiono ondivaghe e incerte, incapaci di scegliere tra una chiusura decisa, volta a ridurre drasticamente i contatti interpersonali, e qualche misura mirata per evitare i danni economici che deriverebbero da un nuovo lockdown.
Sulla crisi israeliana si soffermava venerdì scorso in questa rubrica G. Yohanan Di Segni con un articolo (“Pandemia e piazza”) dai toni molto accesi nel condannare senza appello la protesta popolare, segnalata come una pericolosa forma di “anarchismo” diretta a smantellare le strutture dello Stato e inscenata da presunti ribelli intenzionati solo a distruggere. Il giudizio dell’autore mi pare eccessivamente duro e negativo, inutilmente allarmista e poco capace di cogliere le motivazioni che alimentano le numerose manifestazioni. Nessuno a questo punto – dopo che sulla possibilità di un ministero guidato da un premier sotto inchiesta si è a suo tempo pronunciata la Corte Suprema – nega la legittimità del governo Netanyahu. Ma un governo che si rispetti deve mostrare le sue capacità e la sua forza davanti alle prove decisive: quale prova più decisiva dell’organizzazione della società israeliana di fronte al Coronavirus? Ebbene, rispetto a questa sfida centrale l’esecutivo di coalizione Likud – Kahol Lavan non si dimostra all’altezza dell’arduo compito. Le due componenti del governo sono attualmente impegnate nella contesa sul bilancio: biennale, come da accordi di coalizione e come richiesto da Gantz, o annuale, secondo gli odierni orientamenti di un premier evidentemente restio a cedere lo scettro di primo ministro nella seconda parte della legislatura come previsto dall’alleanza? Al di là di questo pur importante nodo, certamente la lotta al Covid non pare essere al centro di un ministero nato invece per fronteggiare l’attuale emergenza. Chiare, forti e universalmente condivisibili appaiono, in contrasto con i diverbi partitici, le parole di duro ammonimento politico del Presidente Rivlin, lui sì vero padre della Patria: Israele non è una bambola di pezza con cui giocare per conquistare più potere degli avversari.
Di fronte a una palese espressione di divisione e di incapacità proprio sul fronte più urgente, allora, la protesta della piazza contro il governo appare del tutto legittima, e anzi parte significativa del gioco democratico. La mobilitazione di una massa consistente di cittadini che chiede a gran voce netti cambiamenti o dimissioni dimostra che Israele è una democrazia vera, vivace, partecipata, una società realmente presente che chiede di essere ascoltata e vuole essere coinvolta nelle varie posizioni, un’opinione pubblica che controlla i propri rappresentanti e giudica le loro scelte, non un aggregato di marionette disposte a essere strumentalizzate da leader populisti.
Certo, l’attuale stato di agitazione fa discutere e può preoccupare. Gli oppositori dovranno essere in grado di autolimitare la propria carica dirompente, evitando di degenerare in una violenza che potrebbe mettere a rischio il meccanismo democratico (come forse proprio in questi giorni sta avvenendo nella martoriata Beirut). Ma il proliferare di manifestazioni antigovernative continua ad apparirmi una innegabile testimonianza di democrazia diffusa e vissuta.
A innescare la protesta, in realtà e guardando oltre l’angoscia della pandemia, è di fatto anche l’ambigua posizione di Netanyahu. Anche questo sottofondo pesante dell’attuale governo costituisce innegabilmente una valida base di opposizione. Un premier inquisito che non sente il dovere morale e politico di auto-sospendersi nel periodo del processo a suo carico difficilmente può essere considerato, da molti, una valida guida per il suo popolo.
Lo stallo attuale sembra perdurare uguale a se stesso senza svolte chiarificatrici. Lo spettro di nuove (ennesime e non risolutive) elezioni si affaccia all’orizzonte; elezioni dalle quali lo scenario politico israeliano rischia di emergere più lacerato che mai. E’ auspicabile che pensando al bene comune i due schieramenti della coalizione trovino un accordo e si occupino finalmente sul serio dell’emergenza Covid-19.
Sappiamo che, strutturalmente, un verticismo esclusivo mascherato con apparenze liberal-democratiche in momenti di emergenza come l’attuale potrebbe rivelarsi – proprio perché più costrittivo – più efficace dei pesi e contrappesi della autentica pratica democratica. Anche su questo, per esempio, giocano oggi le “democrature” dell’est europeo. Ma una democrazia autentica, una protesta vera e diffusa in una società aperta continuano a essere di gran lunga preferibili. Perché la libertà di giudizio e di opposizione è un bene sociale irrinunciabile. E la democrazia israeliana dimostra oggi di averlo perfettamente compreso.

David Sorani