Ticketless – La vispa Franca

Vorrei unirmi al cordoglio per la scomparsa di Franca Valeri. Non lo farò tuttavia con parole mie, ma con quelle di un suo compagno di scuola, che nel 2020 avrebbe compiuto cent’anni e vedo che non è stato ricordato sui giornali come avrei desiderato. Intendo dire Cesare Cases, frequentatore delle lezioni di ebraico della signorina Rocca a Milano, prima in una casa privata poi, dopo la Conciliazione che aveva reso obbligatorio l’insegnamento della religione, nella stessa scuola di via Spiga. Il saggio autobiografico di Cases, da cui traggo il brano, uscito prima in un numero del 1978 del “Ponte” dedicato alle leggi razziali, è stato da poco ristampato dalle edizioni dell’Asino a cura di Luca Baranelli e mi è accaduto di scriverne su questa rubrica.
Ricorda dunque Cases: “Qui in via Spiga la bambina ebrea più vivace si chiamava Franca Norsa, e la conoscevo già perché era figlia di un amico d’infanzia di mio padre, ora ingegnere e dirigente della Breda. Non era una scolara modello e mi ricordo che una volta la signorina Rocca disse che io le bagnavo il naso, al che lei eseguì fulmineamente introducendomi un dito in bocca e portandoselo al naso: forse una delle prime gag di colei che più tardi doveva diventar celebre col nome di Franca Valeri. La Franca avrebbe probabilmente potuto giovare a rendermi meno triste e primo della classe, ma al di fuori delle ore di religione la vedevo solo in visite di famiglia segnate dalla noia: suo padre e suo fratello erano tanto grevi e introversi quanto lei era vispa, e i due genitori ci imponevano lunghe e stentate conversazioni sui loro ricordi d’infanzia e sul giornaletto intitolato “Il ficcanaso” che avevano allora perpetrato insieme e recava pettegolezzi sulle due famiglie (e su che altro potevano vertere?) Mio padre ne conservava religiosamente copia insieme al poligrafo alla gelatina che aveva servito all’uopo. Nella casa Norsa di via Senato c’era però un oggetto entusiasmante: il primo distributore automatico di cioccolato che abbia mai visto, di fabbricazione svizzera, con dipinta sopra la storia di Hänsel e Gretel. Piaceva tanto a me e alle mie sorelle che i Norsa ce ne regalarono uno, e così anche noi potemmo utilizzare la tecnica elvetica per dolcificare un po’ il tedio borghese”.

Alberto Cavaglion