Tullio Levi (1939-2020)

Sembra impossibile dover parlare al passato di una persona che per me è sempre stata presente, prima come amico carissimo dei miei genitori e poi come personaggio centrale della vita ebraica torinese e italiana, del Gruppo di Studi Ebraici di Torino e del giornale Ha Keillah, con cui ho così tante volte lavorato, organizzato, discusso, commentato (e anche chiacchierato, mangiato, bevuto, festeggiato). D’altra parte per quante cose bellissime siano state dette e scritte su di lui si ha sempre la sensazione che ci sarebbe da dire ancora molto altro. E anche il molto altro non basterebbe. Viene voglia di parlare di cose che forse fuori Torino non tutti sanno, per esempio della sua presenza costante al bet ha-keneset o del suo impegno nello studio (Rav Ariel Di Porto ha ricordato la partecipazione assidua di Tullio alle sue lezioni); oppure della sua capacità di creare e mantenere buoni rapporti con le istituzioni senza rinunciare a far conoscere le ragioni di Israele anche in periodi in cui la sinistra era molto più ostile di quanto lo sia oggi; ma poi vengono in mente tantissime altre cose organizzate con il suo aiuto (spesso si potrebbe dire in sostanza inventate da lui): eventi, conferenze, giornate di studio, shabbaton, ecc. e non si sa più da dove iniziare. Mi soffermerò sulla mia esperienza personale, anche se occorre tener presente che Tullio era impegnato in così tanti ambiti che moltissime persone (e io sono tra queste) sentivano di avere con lui un rapporto privilegiato per aver lavorato insieme a qualcosa di molto significativo: Consiglio della Comunità, dell’Ucei, commissioni culturali, elettorali, ecc. Cose che magari rappresentavano solo una piccola parte dell’impegno di Tullio, ma per chi le condivideva con lui e non era altrettanto poliedrico erano di primaria importanza.
Nella redazione di Ha Keillah non si limitava a partecipare alle riunioni di redazione e a scrivere articoli, ma si dava da fare anche in tutte quelle cose pratiche e noiose senza le quali un giornale non esce. E anche dopo che aveva lasciato la redazione è stato sempre un collaboratore assiduo, a cui si poteva chiedere un articolo, una recensione, un resoconto, qualunque cosa servisse, con la certezza di poterli avere nel giro di uno o due giorni.
Ho avuto occasione di partecipare con lui ad alcune riunioni elettorali, sia per il Consiglio della Comunità di Torino sia per l’Ucei. E in quell’ambito ho potuto constatare la grandissima capacità di Tullio di aggregare persone, anche con idee diverse, creare contatti, spesso riuscendo ad avvicinare alla vita comunitaria qualcuno che ne era lontano, senza pregiudizi e senza snobismo, cercando sempre di includere e non di escludere. Tullio credeva fermamente (lo ha scritto ancora in una mail al Gruppo di Studi Ebraici pochi mesi fa) nel modello italiano di unità nell’ortodossia. Una posizione così decisa potrebbe forse sembrare a qualcuno in contrasto con l’idea di una Comunità inclusiva, ma in realtà pensandoci bene credo di capire il suo punto di vista: una Comunità inclusiva non può essere la somma di tanti gruppi omogenei che se ne stanno ciascuno per conto proprio senza quasi conoscersi, ma dovrebbe essere una Comunità in cui le persone sono osservanti e non osservanti, hanno opinioni diverse, si incontrano, si scontrano, litigano, magari non si piacciono ma stanno comunque tutte insieme e imparano a conoscersi e a convivere. Un’idea di Comunità che condivido. Non so se questa sia la cosa più importante, o tra le più importanti, da ricordare del pensiero di Tullio. Del resto scegliere una o poche cose importanti è impossibile come parlare di lui in modo esauriente.
Che il suo ricordo sia di benedizione.

Anna Segre