Oltremare – Anarchici (in teoria)

Tutti i giornali e i telegiornali parlano continuamente delle manifestazioni che si stanno tenendo da un mesetto a questa parte davanti alla residenza ufficiale del primo ministro a Gerusalemme, e a sentire i media si tratta di orde barbariche che si scontrano con la polizia e lasciano sporcizia inqualificabile ogni notte, proprio nel centro della città. Sarà. Sabato sera, rientrando a piedi da un lungo shabbat pieno di famiglia e amici, e maschere e alcogel, avevamo davanti due possibilità: fare il percorso che faccio sempre, e che anche con qualche piccola variazione sarebbe per necessità inciampato nella manifestazione che stava iniziando, oppure avventurarsi per strade meno usuali, allungare di parecchio e ritornare in hotel senza vedere altro che qualche manifestante ritardatario. Inutile dire che la curiosità ha prevalso, e abbiamo attraversato tutta la manifestazione, che è in realtà molto più un picchetto che altro, con tanto di volontari agli ingressi che distribuiscono una strisciolina di carta a tutti quelli che entrano, anche ai turisti un po’ per caso come noi, per poter contare poi il vero numero dei manifestanti, checché dica la polizia. La quale polizia era in numeri compatibili con l’arrivo dell’intero palazzo di cristallo da New York, distribuita lungo le cinque strade che entrano nella piazza che fa da centro al tutto. E sostanzialmente dirigeva il traffico, con l’aiuto di lampeggianti, camioncini, e la semplice presenza fisica. Al centro di tutto non la casa di Rehov Balfour, protetta perfino alla vista dal famosissimo telone nero che fa sembrare la strada un immenso palcoscenico nel quale lo spettacolo lo fa chi passa o si ferma al picchetto, ma il palazzo del Terrasanta, che nella sua vita ne ha viste tante ma non sapeva che satebbe diventato il punto di proiezione led degli slogan delle dimostrazioni, con effetto tatuaggio molto poco convenzionale per un palazzo così serio ed europeo nelle forme. Tutto intorno, i manifestanti con cartelli in massima parte fatti a mano, con slogan spiritosi, caricature più o meno riuscite, bandiere israeliane e tutto sommato poche magliette stampate da organizzazioni politiche. L’impressione era che ciascuno fosse venuto per motivi suoi. E sarebbe stato bello fare a tutti la stessa domanda: perché sei qui? Ma il rumore di tamburi, tamburelli, fischietti e altri strumenti a fiato tutti suonati senza alcun ordine o ritmo impediva qualsiasi comunicazione verbale. Due cose però posso dirle: quei pochi che portavano una maglietta di “Crime Minister”, in teoria pericolosi anarchici, erano a occhio e croce ben oltre i sessantacinque anni. E sia loro, sia il resto dei presenti di ogni età, polizia compresa, portavano la mascherina fin sul naso. Se questa è anarchia, non è neanche cugina lontana di quella che ho studiato a scuola, ecco.

Daniela Fubini

(17 agosto 2020)