Tra speranza e pessimismo

La storia di Gerusalemme, nelle sue alterne e tormentate vicende, è stata una storia di passaggi di proprietà. Ebrei, babilonesi, persiani, macedoni, romani, bizantini, arabi, cristiani, turchi se la sono contesa a prezzo di guerre, devastazioni e massacri. Scalzando popoli e sovrapponendo una sacralità a un’altra. Storia e civiltà schiacciate e rimpiazzate a forza. Una storia di scorribande e torture che Simon Sebag Montefiore ripercorre – talora sin troppo puntigliosamente – nella sua bella e mastodontica biografia della città. Biografia di civiltà, in effetti.
Se ne ricava, con bella evidenza, quanto arduo sia realizzare la pacifica convivenza fra i popoli. E quanto la costruzione della storia sia una questione di lettura soggettiva. L’imperatore romano Giuliano il filosofo, solo per citare un esempio, fu per gli ebrei dell’epoca una sorta di liberatore, dopo il periodo di persecuzioni da loro subite ad opera di Adriano e Costantino. La storiografia cristiana, invece, lo considera a torto un persecutore, anche in mancanza di persecuzioni, e infatti lo definisce l’Apostata.
La città dello spirito per eccellenza ha pagato nei secoli la sua centralità spirituale, ben al di là del suo ruolo politico e strategico.
Ora, Gerusalemme ritorna al centro del dibattito e, grazie a reciproci riconoscimenti fra Israele e qualche paese arabo, la pace sembra profilarsi all’orizzonte. Si confida infatti che il clima di conciliazione sia contagioso e conquisti pian piano tutto lo schieramento dei paesi arabi, trascinando nella sua scia, prima o poi, anche la politica palestinese.
C’è spazio per la speranza, quindi. Eppure l’ottimismo sinora ha pagato ben poco. Ci si chiede infatti quanto il recente accordo fra Israele e gli Emirati Arabi Uniti sia stato favorito e condizionato da strategie di scacchiere (Turchia, Iran), da esigenze politiche personali dei capi di stato (le difficoltà di Netanyahu), dall’imminente svolgersi delle elezioni americane (le difficoltà di Trump). E quanto duraturi possano essere allora gli effetti di questo nuovo corso mediorientale. Potrebbe non essere una direzione irreversibile. C’è purtroppo ampio spazio per il pessimismo e per l’inversione di rotta.

Dario Calimani

(18 agosto 2020)