Periscopio
L’accordo con gli Emirati
Quella della normalizzazione dei rapporti diplomatici tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti è davvero una bellissima notizia, che si può e si deve definire, come da più parti è stato fatto, “storica”. Essa pare aprire una pagina nuova nella problematica regione medio-orientale, nella quale sembrano finalmente prevalere i valori della razionalità, della duttilità, dell’equilibrio, dell’apprezzamento degli immensi benefici che può portare una pacifica convivenza.
Avere normali rapporti diplomatici non vuol dire amarsi follemente, ritenere che il partner sia un soggetto perfetto e meraviglioso, ma, più semplicemente, prendere atto che, pur potendo esserci ragioni di discussione o di disaccordo, ognuno dei due riconosce l’altro come un interlocutore con cui confrontarsi, parlare, ragionare su possibili intese e comuni interessi. La cosa più ovvia e naturale del mondo, che dovrebbe essere la regola, e che invece, fin dalla nascita di Israele, è stata quasi sempre impedita dall’ottuso riflesso condizionato dell’antisionismo, che si è consolidato in gran parte del mondo arabo come un perverso fattore identitario, che ha recato agli arabi almeno altrettanti danni di quanti ne abbia inflitti a Israele.
L’unità araba contro l’“entità sionista” è somigliata, si può dire, alla “fraterna amicizia”, prima della caduta della “cortina di ferro”, tra i Paesi dell’Est, assai poco spontaneamente uniti contro il nemico capitalista. Con la piccola differenza che, durante la guerra fredda, a fronteggiarsi parevano davvero essere due grandi e potenti mondi, apparentemente contrapposti, mentre, nel caso del Medio Oriente, il mondo grande e potente era uno solo, e il temibile nemico era un minuscolo staterello, la cui popolazione non superava un trentesimo o un quarantesimo di quella degli avversari, e la cui estensione un deuecentesimo o un trecentesimo. “Vale la pena stare a seguire quelli che sono ossessionati dall’esistenza di quel topolino?”, si è chiesto qualcuno, finalmente, ad Abu Dhabi. “Che fastidio ci dà? Che vantaggio abbiamo avuto finora dall’essere solidali con i suoi nemici? Se quelli sono ottusi, dobbiamo a forza esserlo anche noi? Perché non proviamo, invece, col topolino, a farci, tutti e due, un po’ di soldini (non che ci manchino, in verità, ma comunque…)”. Ecco, immagino che le cose siano andate, più o meno, così.
Come è stato giustamente rilevato, l’attuale accordo di pace ha un valore molto diverso da quelli già sottoscritti con l’Egitto e con la Giordania, in quanto, in questi altri due casi, c’erano delle questioni di terra e di confini da risolvere, e quindi degli interessi pratici che, come avevano spinto, in altri contingenti storici, verso la guerra (calda o fredda), hanno poi portato, mutate le circostanze, alla pace (anche questa, calda o fredda: in genere, com’è noto, piuttosto freddina, ma pazienza). Israele e gli Emirati, invece, sono lontanissimi, non c’è nessun problema di terre e di confini, il blocco era esclusivamente di tipo ideologico, al pari di quello che contrappone lo Stato ebraico a tanti altri Paesi distanti migliaia di chilometri.
Israele non ha dovuto pagare nessun prezzo per questa pace, ed è giusto che sia così. Se si è in buona fede, la pace conviene a tutti, non c’è mai una sola parte che ne tragga beneficio, e debba perciò pagare qualcosa. Quando una trattativa parte sulle basi del ‘pagamento’, si fonda, verosimilmente, sulla mala fede.
Una parte importante del mondo arabo sta diventando adulta, comincia a pensare con la propria testa, si è scocciata di sentire suonare sempre lo stesso disco rotto, non si mette più al traino dei bulletti di quartiere, che non sanno fare altro che sbattere la testa contro al muro. Comincia a prendere piede, speriamo, una nuova contrapposizione, che non è più quella, vetusta e insensata, tra arabi ed ebrei, ma piuttosto tra costruzione e distruzione, dialogo e sordità, ragione e fanatismo.
Bravo, sceicco, speriamo che il tuo esempio sia d’ispirazione ai tuoi colleghi, prova a fare qualche telefonata in tal senso, saprai certamente scegliere i numeri giusti da chiamare. Anzi, forse è meglio di no, lascia che siano gli altri a cercarti.
Francesco Lucrezi
(19 agosto 2020)