Avvicinare i paesi arabi, allontanare la Cina Il piano degli Usa per Israele

Una due giorni tra Israele ed Emirati Arabi Uniti per parlare dell’accordo di normalizzazione tra i due paesi e di nuove prospettive per il Medio Oriente. Questo il piano in agenda del segretario di Stato Usa Mike Pompeo, che aprirà la sua settimana incontrando a Gerusalemme i vertici della politica israeliana per poi spostarsi tra gli sceicchi degli Emirati. In particolare il capo della diplomazia a stelle e strisce dovrebbe vedere in Israele il Primo ministro Benjamin Netanyahu, il ministro della Difesa Benny Gantz e il ministro degli Esteri Gabi Ashkenazi. Un vertice che arriva in un clima di estenuanti tensioni interne alla coalizione di governo, con la contrapposizione tra il Likud di Netanyahu e il partito Kachol Lavan di Gantz e Ashkenazi sull’approvazione del Bilancio. Proprio in concomitanza con l’arrivo di Pompeo dovrebbe infatti essere votato un provvedimento per far slittare di 100 giorni il via libera al Bilancio. Secondo l’emittente israeliana canale 12 lo spostamento in avanti dei termini per l’approvazione permetterà a Netanyahu di avere delle vie d’uscita dalla scomoda alleanza con Gantz, in particolare di far cadere il governo senza dover cedere la premiership al leader di Kachol Lavan così come previsto dall’accordo siglato con lui la scorsa primavera. Non è detto che il Likud decida di aspettare quei cento giorni: da settimane esponenti di punta del partito parlano apertamente di una possibile rottura con Gantz e compagni e di un ritorno alle urne. Il paese però è in una grave situazione economica a seguito della pandemia e da settimane c’è una significativa – seppur minoritaria – mobilitazione anti-Netanyahu che tocca diverse località israeliane.
In questo clima un po’ tempestoso arriverà dunque il segretario di Stato Usa a cui però la politica interna israeliana interessa poco. Sul suo tavolo, oltre alla normalizzazione dei rapporti tra Israele ed Emirati Arabi Uniti – resa nota dal presidente Usa Donald Trump e presentata come un suo successo personale – ci sarà la sfida alla Cina e la possibilità di far adottare nuove sanzioni alle Nazioni Unite contro l’Iran. Sul governo di Teheran per il momento la politica internazionale è cauta ma Netanyahu e Pompeo su questo fronte la vedono in modo simile: usare le sanzioni per indebolire il regime degli Ayatollah. Sul tema Cina, Israele, come raccontava l’economista Aviram Levy nell’ultimo Pagine Ebraiche, ha ascoltato il consiglio piuttosto insistente dell’alleato americano, respingendo un’offerta commerciale di un’importante colosso industriale cinese (CK Hutchison), con sede a Hong Kong, che aveva partecipato e vinto una gara internazionale per costruire un grosso impianto di dissalazione delle acque nel paese. Un altro progetto aveva attirato le critiche di Washington, rimaste questa volta inascoltate: quello per il porto di Haifa, qui la Cina dovrebbe operare, nonostante l’altolà americano. “Curiosamente, ribaltando i tradizionali schieramenti, l’establishment militare israeliano è schierato con Trump, di cui condivide le preoccupazioni per la penetrazione cinese in Israele. – scrive Levy -Ed è singolare che Netanyahu abbia provocato le ire di Trump, uno stretto alleato con cui i rapporti sono generalmente idilliaci. Una delle conseguenze della decisione israeliana di escludere i cinesi dal progetto è che ne aumenteranno i costi, visto che i cinesi si erano aggiudicati la gara con un’offerta economica molto conveniente e un prezzo molto basso. Ma secondo gli americani il basso prezzo richiesto dai cinesi è la riprova che essi utilizzano usano la penetrazione industriale per coprire attività di spionaggio e di sorveglianza militare all’estero”.