Arrigo Levi (1926-2020)

La scomparsa di Arrigo Levi sulle prime pagine di molti giornali. La carriera giornalistica, il rapporto stretto con due Presidenti della Repubblica di cui fu consigliere. Ma anche gli anni di Buenos Aires, la scelta di combattere per la difesa di Israele nel ’48, il suo scontro con Gheddafi. Un ricordo da molte angolature.
“Il giornalismo al servizio della democrazia”. Così lo ricorda La Stampa, di cui è stato direttore dal ’73 al ’78. Scrive Massimo Giannini, attuale direttore del quotidiano: “Anche nel tempo veloce e immateriale del web, un giornale è un corpo vivo: muta nel tempo perché lo interpreta, ma conserva intatta la sua ‘anima’. E qui, a La Stampa, pochi direttori come Levi hanno incarnato quell’anima: la fede nella democrazia e nella Costituzione, la laicità dello Stato e la fedeltà all’Occidente. Non a caso, insieme alle altre grandi firme di quegli anni formidabili, portò a collaborare Primo Levi e Norberto Bobbio”.

Racconta il Corriere: “Cosmopolita per vocazione e orizzonti mentali, garbato ed elegante nei modi come nella scrittura, Arrigo Levi padroneggia quattro lingue (nel senso che le parla e le scrive) e molte culture. Non è dunque un caso che, grazie alla lucidità e profondità delle sue analisi di geopolitica, sia uno dei rarissimi italiani a conquistarsi il rango di editorialista del Times e columnist di Newsweek”. Ricardo Franco Levi, suo nipote, si sofferma sul segno lasciato nella sua straordinaria autobiografia Un Paese non basta: “Poteva e voleva vivere le diverse fasi della sua vita, le culture che aveva incontrato come componenti tutte di un’identità più ricca. Ricordava e definiva suo padre, mio nonno, come avvocato, ebreo, modenese, italiano, nessuna identità escludendo le altre. Lui, Arrigo, a queste avrebbe aggiunto quella europea”. Il nipote ricorda inoltre come avesse “lungamente sperato nella pace tra israeliani e palestinesi”.

Scrive Repubblica: “Si definiva ‘un cittadino del mondo’ e ‘un laico miscredente’. Ma, in ospedale, prima di morire ha cantato l’inno di Israele (La Speranza) e una filastrocca modenese, la sua settima lingua. È stato uguale a se stesso fino alla fine: esuberante e passionale, come il tango che aveva imparato nell’esilio a Buenos Aires. E fedele alle sue radici”.
Sempre su Repubblica, Simonetta Della Seta ricorda il legame con Israele a partire dalla guerra del ’48 in cui si arruolò volontario. Ad essere citato è un passaggio dell’intervento tenuto a Gerusalemme, in occasione della visita di Giorgio Napolitano: “II primo gennaio 1949 fummo gli ultimi a rientrare in Israele dall’Egitto, alle due del mattino ci svegliarono per dirci che la guerra era finita, ma tornammo indietro per far saltare il grande ponte al 360 km della strada che porta a Suez. Rientrammo in Israele molto contenti anche perché credevamo, avendo vinto la guerra, di aver conquistato la pace”.
Per Maurizio Molinari, il direttore di Repubblica, “il giornalismo di cui Levi è stato protagonista nasceva dalla indomabile passione per le notizie, dall’interpretazione dei fatti, dal rifiuto della faziosità, dal rispetto per i lettori e da un’idea granitica, di fondo, sul proprio lavoro: ‘Non si fa il giornalista, si è giornalisti'”.

“Il giornalista che ha raccontato noi e il nostro Paese, Israele e il popolo ebraico. Maestro di generazioni di giovani impegnati nella professione e nelle istituzioni”. Così Noemi Di Segni, Presidente UCEI, le cui parole sono riportate su Avvenire.
Intervistato dal quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana, il fondatore della Comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi dice: “Levi credeva molto nello spirito di Assisi, con noi si appassionava a temi come le migrazioni, l’antisemitismo, il confronto fra credenti e non credenti”.

Guardiamo adesso alle principali notizie dall’estero. Donald Trump è stato formalmente ricandidato dai Repubblicani alla presidenza degli Stati Uniti. “Dobbiamo fare molta attenzione: nel 2016 i democratici hanno spiato la nostra campagna, ora ci provano con il voto di corrispondenza”, l’accusa lanciata da Trump nel corso della convention. Altra accusa a Biden è quella di voler “uccidere il sogno americano”. Il politologo Larry Sabato, intervistato da Repubblica, fa il bilancio del suo intervento. La sua valutazione è molto critica: niente idee né proposte, spazio solo per il culto personale. A turbare il politologo sono però altri fattori: “L’intervento di Mike Pompeo da uno stato straniero e da un luogo emblematico come Gerusalemme. E il presidente che usa la Casa Bianca, patrimonio di tutti gli americani, in un simbolo di partito”. Secondo Sabato non è rispettata “nessuna regola di decenza politica”

Della missione di Pompeo in Medio Oriente parla l’Osservatore Romano, il quotidiano della Santa Sede. “Subito dopo Israele – viene spiegato – Pompeo partirà per il Sudan, uno dei paesi che, insieme ad Oman e Bahrein, potrebbe aderire alla normalizzazione dei rapporti diplomatici con Israele. Inoltre, in Sudan Pompeo discuterà con i leader locali del ‘continuo supporto Usa al governo di transizione a guida civile’ ed esprimerà ‘sostegno per un rafforzamento della relazione tra Sudan e Israele’, come ha chiarito una nota del dipartimento di Stato. La terza tappa del viaggio, che si concluderà il 28 agosto, sarà Abu Dhabi”.

Il Sole 24 Ore si sofferma sulla “guerra sul budget che può portare Israele a un’altra crisi”. Lo scontro tra Likud e Blu e Bianco sembra infatti riaccendersi. Con l’accordo raggiunto sul rinvio del voto sulla legge di bilancio a dicembre che, si legge, sembra più “una pace armata” che altro.

Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked

(25 agosto 2020)