Le previsioni sulle elezioni Usa

Come avviene ogni volta che si approssimano le elezioni presidenziali negli Stati Uniti, si moltiplicano le previsioni sul loro esito, previsioni talvolta dettate dal desiderio, più o meno consapevole, di proiettare sugli schieramenti politici americani le simpatie o le antipatie legate alla lotta politica europea (o, se si vuole, italiana); in altri casi, meno frequenti, dalla volontà di calarsi effettivamente nelle dinamiche dell’opinione pubblica degli Stati Uniti.
Se ci dobbiamo basare esclusivamente su quanto appare sulla grande stampa d’informazione e sui grandi network televisivi europei, l’onda anti-Trump appare assai forte, anche se, corrispondentemente, non emerge una simmetrica onda di favore verso l’altro candidato Joe Biden. In un’elezione presidenziale, dove la personalità dei candidati vale almeno altrettanto del loro orientamento politico, non è scontato quanto pesi l’eccesso di personalità di Trump rispetto alla simmetrica debolezza personale di Biden.
Ma prima di tutto occorre chiedersi da dove derivi questo orientamento europeo antitrumpiano. Ben pochi hanno una conoscenza diretta degli Stati Uniti e delle loro dinamiche politiche. La grande maggioranza delle persone, anche quelle che non proiettano sugli Usa le loro simpatie o antipatie legate agli schieramenti politici europei, si forma la propria opinione in base a due fonti principali: la notizia dei sondaggi che vengono diffusi dai soggetti più diversi e, soprattutto, le corrispondenze dagli Usa delle maggiori reti televisive e dei grandi quotidiani. Per quanto riguarda i sondaggi, c’è da dire che, pur in un generale indirizzo sfavorevole a Trump, la misura oscilla considerevolmente; inoltre non sempre è chiaro se questi sondaggi si riferiscono al voto popolare complessivo oppure alla valutazione dei voti presidenziali calcolati Stato per Stato. Come si è visto in tante altre elezioni, e in ultimo in quelle del 2016, questi due dati possono variare considerevolmente e possono addirittura rovesciare l’esito delle elezioni, come accadde appunto nel 2016.
Ma se i sondaggi possono influenzare l’opinione pubblica europea, molto più peso ha l’immagine della lotta politica negli Stati Uniti che viene trasmessa, in un tempo anche lungo, attraverso le corrispondenze degli inviati delle tv e dei quotidiani europei. Già la sostanziale omogeneità delle loro valutazioni, in senso ostile a Trump, dovrebbe suggerire qualche interrogativo sulla modalità di formazione di queste opinioni. Salvo alcune eccezioni, i corrispondenti europei hanno una conoscenza degli Stati Uniti molto selettiva, condizionata dalla loro sede di lavoro, che è quasi sempre New York, e dalle fonti utilizzate, in larga misura la grande stampa liberal e la frequentazione di ambienti newyorkesi altrettanto liberal. Mettendo insieme questi elementi possiamo chiederci se questo indirizzo antitrumpiano che si è venuto allargando nell’opinione pubblica europea corrisponda effettivamente agli umori della maggioranza dei cittadini americani, soprattutto di coloro che si registrano e poi effettivamente votano.
Fino al febbraio scorso l’indirizzo politico prevalente negli Stati Uniti era sensibilmente diverso da quello diffuso in Europa. Agli europei il programma trumpiano “America first” poteva non piacere, ma non è detto che non piacesse alla maggioranza degli americani, anzi. Nella politica internazionale la linea di Trump verso la Cina sembrava rovesciare quella sorta di impotenza rispetto all’espansionismo economico e politico di Pechino che negli ultimi anni era sembrato irresistibile; inoltre Trump aveva messo in atto una politica mediorientale di segno opposto rispetto a quella europea, contrastando con decisione l’espansionismo iraniano e appoggiandosi con altrettanta decisione all’alleato storico dell’area, Israele, sottolineando questa scelta con il gesto simbolico del trasferimento dell’ambasciata a Gerusalemme, e rafforzando al tempo stesso i legami con i Paesi arabi moderati. In politica interna Trump aveva potuto godere di un trend molto favorevole dell’economia che aveva portato a una riduzione drastica della disoccupazione. A suo svantaggio giocavano una certa volatilità dei comportamenti, la disinvoltura con la quale aveva nominato e liquidato una serie di stretti collaboratori, un linguaggio, non solo verbale ma anche corporeo, che, se poteva piacere a una parte degli americani, certamente allontanava una parte non secondaria dell’elettorato, abituato a considerare il Presidente, una volta eletto, come una figura che, a qualunque partito appartenga, è tenuta a comportamenti che consentano al maggior numero di americani di riconoscervisi.
L’esplosione del Covid-19 ha alterato drasticamente questo scenario: ha sconvolto la società americana, nella quale gli strati più deboli ma anche quelli intermedi hanno visto modificarsi improvvisamente il proprio status e soprattutto le proprie aspettative. Ha, al tempo stesso, rafforzato quell’immagine di volatilità che già era stata in precedenza uno degli aspetti più negativi dell’azione di Trump: di fronte all’epidemia Trump non ha saputo scegliere con decisione una posizione, sottovalutando l’impatto sanitario della diffusione del virus, puntando sulla continuazione delle attività economiche per poi dover prendere atto che la diffusione dell’epidemia stava condizionando in modo pesante la stessa ripresa economica. Questa irresolutezza faceva a pugni con l’immagine decisionistica che Trump aveva voluto dare di sé, e fa a pugni anche con l’immagine che in generale gli americani vogliono avere del loro Presidente in quanto commander-in-chief.
Per ampliare il quadro (certo non per completarlo) resta la valutazione dell’altro candidato, Joe Biden. Come in ogni elezione – e in particolare in quelle presidenziali – la valutazione – positiva o negativa – del candidato a cui l’elettore si sente più lontano ha un peso non meno considerevole di quella del candidato preferito. Infine non va mai dimenticato che, quando un cittadino americano si registra come elettore, lo deve fare come democratico, come repubblicano o come indipendente. Va da sé che saranno proprio i voti di questi ultimi a essere decisivi.

Valentino Baldacci

(27 agosto 2020)