Chi è Acmet Pascià

Nella sua rubrica “Preghiera” sul Foglio, Camillo Langone, parlando criticamente di Otranto, si sofferma sul nome di un ristorante che prende il nome di “Acmet Pascià”, il condottiero ottomano che nel 1480 riuscì a conquistare la città massacrandone poi la popolazione. Scrive, “È come se nel ghetto di Roma ci fosse un ristorante di cucina ebraica intitolato ad Adolf Hitler.”. Il paragone è senz’altro mesto e fuori luogo: i saccheggi, le violenze, e i massacri che avvenivano in seguito o durante le guerre di conquista tra mondo cristiano e mondo islamico – o interne ad essi – erano molto frequenti e non erano certo prerogativa degli uni o degli altri. A differenza della Shoah e di altri genocidi del Novecento, nessun otrantino avrà una memoria diretta della battaglia d’Otranto. Le reliquie dei civili e dei chierici trucidati all’epoca sono conservate in enormi teche dentro una cappella della Cattedrale, altri resti vennero trasferiti in altre chiese del Meridione, coloro che prendono il nome di “martiri d’Otranto” furono poi canonizzati nel 2013 da papa Bergoglio. Il massacro d’Otranto sembra quindi che più che una tragedia presente nella memoria viva e collettiva della cittadinanza, sia relegato appunto a un fatto puramente storico, e a un martirio legato alla memoria più prettamente religiosa. Da qui è diventato “interessante” anche a fini ideologici, per rimarcare naturalmente una sorta di “scontro di civiltà”. Forse sarebbe più lecito chiedersi qual è la distanza temporale che rende un tiranno, uno “stragista”, o una dittatura più affascinante ed accettabile. Se sia dunque presente il rischio che eventi oggi considerati tragici si trasformino un domani in qualcosa di banale ormai lontano nel tempo. Già ai giorni nostri luoghi come Chernobyl attirano più turisti in cerca di qualche selfie con dietro l’ex reattore nucleare, piuttosto che individui propensi a una conoscenza/riflessione storica sulle cause e sugli effetti. Esiste infatti il nome di turismo dell’orrore, vi sono tour guidati in luoghi appena martoriati da guerre, o basti pensare anche alle visite indesiderate di “curiosi” ad Avetrana, a Genova dopo la caduta del Morandi, o all’Isola del Giglio dopo il naufragio della Costa Concordia. “Dove c’è domanda il mercato creerà un’offerta” scrisse Antonella Serecchia su The Vision a proposito del fenomeno. Il fondatore del celebre ristorante otrantino invece, credo non abbia pensato né a commercializzare un fatto orrendo, né a glorificare un nemico dell’epoca in barba ai propri antenati, ha scelto con troppa nonchalance solo un nome un po’ “orientaleggiante”, ma che forse paradossalmente farà sorgere in qualche avventore inconsapevole la domanda di chi fosse questo Acmet Pascià, e a ripercorrere così la storia di questa città di fronte alle coste dell’Albania.

Francesco Moises Bassano