I movimenti che vogliono la catastrofe

[…] Vorrei partire dall’idea che, nonostante il loro crollo, le premesse dei movimenti fascisti continuano a sussistere sul piano sociale, se non anche su quello direttamente politico. Penso in primis alla tendenza del capitale alla concentrazione, dominante oggi come allora, della quale non si può affatto dubitare, per quanto la statistica, con tutti i suoi artifici, tenti di farla scomparire dalla faccia della terra. Questa tendenza alla concentrazione significa, d’altro canto, oggi come allora, che resta sempre possibile il declassamento di strati sociali che dal punto di vista della loro coscienza di classe soggettiva risultano del tutto borghesi, i quali intendono mantenere i loro privilegi e il loro status sociale e, ove possibile, rafforzarli. Questi gruppi hanno sempre la tendenza a odiare il socialismo o ciò che loro chiamano socialismo, ossia danno la colpa del proprio declassamento potenziale non agli apparati che lo producono, ma a coloro che si sono contrapposti in chiave critica al sistema nel quale avevano potuto godere di quello status. Che lo facciano ancora oggi o che questa sia tuttora la loro prassi, è un’altra questione. […]
[…] Proprio in rapporto a categorie come quella degli «eterni incorreggibili», o analoghe espressioni rassicuranti, si sente spesso avanzare la tesi che in ogni democrazia ci sia un nucleo di incorreggibili o folli, la cosiddetta lunatic fringe, come viene chiamata in America. E qui si cela qualcosa di consolatorio in senso quietistico e borghese, se tale lo si vuole considerare.
Io credo che si possa rispondere soltanto: è certo che nel mondo, in ciascuna delle cosiddette democrazie, è possibile osservare con intensità variabili qualcosa di simile, ma solo in quanto espressione del fatto che, fino a oggi, da nessuna parte la democrazia si è concretizzata in modo effettivo e completo dal punto di vista del contenuto economico-sociale, ma è rimasta sul piano formale. E, in questo senso, i movimenti fascisti potrebbero essere indicati come le piaghe, le cicatrici di una democrazia che non è ancora pienamente all’altezza del proprio concetto. Vorrei inoltre dire, se si tratta di superare alcuni cliché su tali questioni, che il rapporto di questi movimenti con l’economia è un rapporto strutturale che si cela nella tendenza alla concentrazione e nella tendenza all’impoverimento, che nel breve periodo non è possibile capire e che, se si equipara semplicemente il radicalismo di destra a movimenti congiunturali, si finisce con l’approdare a giudizi sbagliati. I successi dell’NPd in Germania erano in una certa misura allarmanti già prima della fase di regressione economica e, per certi aspetti, l’hanno anticipata o, se preferite, aggiornata. Hanno, se così si può dire, quasi precorso una paura e un orrore che solo in seguito si sarebbero acuiti a dismisura. Dicendo che hanno “anticipato l’orrore” credo di avere davvero toccato un aspetto centrale che, per quanto posso vedere, è stato trascurato dalle interpretazioni più comuni del radicalismo di destra: il complesso e difficile rapporto, che qui risulta dominante, con il sentimento della catastrofe sociale. Si potrebbe parlare di una distorsione della teoria marxiana del collasso, la quale avrebbe luogo in questa coscienza falsa e mutilata.
Per un verso riguardo alla dimensione razionale: “Come è possibile andare avanti, se c’è una grande crisi?”, e questi movimenti si propongono appunto come una risposta a tale situazione. Per un altro verso, tuttavia, essi hanno qualcosa in comune con quella specie di odierna astrologia manipolata che io considero un sintomo fortemente caratteristico e importante dal punto di vista della psicologia sociale del fatto che, in un certo senso, essi vogliono la catastrofe, che si nutrono di fantasie di tramonto del mondo, cosa che del resto – come sappiamo dai documenti – non era affatto estranea alla cricca che prima guidava il Partito nazionalsocialista.
Dovendo parlare il linguaggio della psicoanalisi, direi che, tra le forze qui mobilitate, quella che in tali movimenti fa appello alla sventura e alla catastrofe non è certo la più insignificante. Ma vorrei anche aggiungere […] che questo comportamento non è motivato esclusivamente dal punto di vista psicologico, ma ha anche un fondamento oggettivo.
A chi non vede nulla davanti a sé e a chi non vuole la trasformazione delle basi sociali non resta nient’altro se non ciò che afferma il Wotan di Richard Wagner – “Sai che cosa vuole Wotan? La fine” – a partire dalla sua situazione sociale vuole il tramonto, e non il tramonto del proprio gruppo, ma, se possibile, il tramonto tout court.
[…] È ovvio che oggi come allora, nonostante tutto, l’antisemitismo rappresenta uno degli “assi della piattaforma”. Se così si può dire, è sopravvissuto agli ebrei, e su questo si basa la sua forma spettrale. Si rifiuterà soprattutto il senso di colpa attraverso una razionalizzazione.
Si dirà: “Devono pur avere fatto qualcosa, altrimenti non li avrebbero uccisi”. Naturalmente su tali questioni, nel frattempo, è emerso un tabù, previsto anche dalla legislazione ufficiale. Ma perfino il tabù sul nominare gli ebrei diventa un mezzo per l’agitazione antisemita, con quell’alzata di sopracciglia che accompagna la frase: “Non possiamo dire nulla a riguardo, ma tra noi ci capiamo.
Sappiamo tutti che cosa vogliamo dire”. E il semplice fatto di citare il nome di un ebreo è sufficiente perché questa tecnica dell’allusione produca determinati effetti.
Una tecnica della nuova manipolazione caratteristica dell’antisemitismo – sulla quale vorrei richiamare la vostra attenzione, in modo che possiate studiarla un po’ più da vicino e opporvi ad essa – è l’effetto cumulativo. Il “Soldaten-Zeitung” e il “National-Zeitung” hanno sviluppato un eccezionale virtuosismo nel non scrivere mai nulla in ciascun numero che si spinga tanto in là da violare la legislazione vigente opportunamente varata contro l’antisemitismo o contro il neonazismo. D’altro canto, però, se si guarda tutta una serie di numeri uno dopo l’altro, bisogna davvero essere rimasti vittima dello spirito del formalismo per non vedere ciò che intendono dire.
Non solo è necessario studiare in dettaglio e fermare questo pericolo, questa forma di allusione sviluppata sino a diventare una tecnica altamente raffinata, ma occorre anche tentare di trovare dei mezzi legali attraverso cui uno Stato democratico possa procedere contro di esso. Ora, la legge impedisce a questa ideologia di esprimersi completamente. Si può dire che tutte le affermazioni ideologiche del radicalismo di destra sono connotate da un conflitto permanente tra ciò che non è lecito dire e ciò che farebbe ribollire l’uditorio, come ha detto di recente un agitatore. (Per tranquillizzarvi, posso dire che non c’è stata nessuna ebollizione). Ma questo conflitto non è soltanto esteriore, l’obbligo di adattarsi alle regole democratiche implica anche una certa trasformazione nei comportamenti, e in tutto ciò c’è qualcosa di stentato – non saprei come altro definirlo – che segna questi movimenti quando si ripresentano. Ciò che è apertamente antidemocratico sparisce. Viceversa, ci si richiama sempre alla vera democrazia e si accusano gli altri di essere antidemocratici.
[…] Lasciatemi spendere ancora qualche parola a proposito della resistenza. Credo che la tattica di fare tutto “zitti zitti”, cioè di far passare queste cose completamente sotto silenzio, non abbia mai funzionato e oggi il modo in cui si sono evolute è già arrivato a un punto tale da rendere impossibile metterla in pratica. Ho già detto che non bisogna farne una questione morale, ma che si deve fare appello agli interessi reali. Lo ripeto. Forse a questo proposito posso ricordare uno dei risultati della ricerca condotta in America, tratto dal nostro La personalità autoritaria, dove si vede come le personalità cariche di pregiudizi – quelle che sono cioè autoritarie, repressive e reazionarie dal punto di vista economico e politico –, laddove si tratti dei loro interessi evidenti, evidenti ai loro stessi occhi, reagiscono in modo completamente diverso. […] Questa scissione nella coscienza degli esseri umani mi sembra uno dei punti di partenza più promettenti per una reazione nel senso in cui ne ho parlato prima. […]
Forse alcuni di voi mi chiederanno, o mi chiederebbero, cosa penso del futuro del radicalismo di destra. Credo che questa sia una domanda sbagliata perché eccessivamente contemplativa. In quel modo di pensare che sin dal principio vede queste faccende come catastrofi naturali, sulle quali è possibile fare previsioni come per le trombe d’aria o i disastri meteorologici, si cela già una forma di rassegnazione che ci mette in realtà fuori gioco come soggetti politici; vi si cela, cioè, un comportamento da cattivi spettatori di fronte alla realtà. Come queste cose proseguiranno e la responsabilità per come andranno avanti ricade, in ultima istanza, su di noi.

Tratto da Theodor W. Adorno, Aspetti del nuovo radicalismo di destra, Marsilio