Controvento
Il dovere della felicità

Viviamo in un mondo in cui sempre si parla di diritti. Sacrosanti. Ma spesso dimentichiamo che l’altra faccia dei diritti sono i doveri. E purtroppo la nostra è una società in cui i doveri sono spesso dimenticati. Tutti abbiamo il diritto a divertirci e a vivere periodi di vacanza spensierati. Ma abbiamo anche il dovere di proteggere il benessere e la salute della comunità, e l’esplosione di Covid post agostano dimostra come questo dovere non sia stato sufficientemente considerato. I nostri figli hanno il diritto allo studio: ma quanti lo vivono anche come un dovere? Quanti genitori rispettano gli insegnanti e la scuola come istituzione? C’è il diritto al lavoro: ma quanti lavoratori, a partire dalla pubblica amministrazione, pensano che esso si accompagni anche al dovere di svolgere bene il compito per cui sono pagati? Non voglio generalizzare: per fortuna una buona parte della popolazione è ancora seria e impegnata, ma lo è per motivazione personale, non per coscienza collettiva.
Nella religione ebraica, i dieci comandamenti, che non sono prescrizioni ma formule identitarie, elencano una serie di doveri, positivi e negativi. Dall’osservanza di questi doveri scaturisce il diritto di far parte del popolo di Israel. Il diritto scaturisce dal dovere, non è una prerogativa incondizionata dell’essere umano. A volte penso che la forza del nostro popolo derivi proprio dal senso del dovere di cui sono intrise la nostra religione e la nostra cultura.
Uno dei diritti più invocati negli ultimi due secoli è il diritto alla felicità, sancito per la prima volta, credo, nella Dichiarazione di Indipendenza americana del 4 luglio 1776: “A tutti gli uomini è riconosciuto il diritto alla felicità”. Una visione egalitaria e lungimirante, in una società dove ancora vigeva la segregazione razziale, e le donne erano considerate essere umani di serie B. Ma anche pericolosa. Che cos’è infatti la felicità? Due millenni di filosofia non hanno ancora risolto la questione. I prudenti e saggi padri della Costituzione Italiana scelsero la formulazione “diritto al pieno sviluppo della persona umana”. Mi piace di più. Perché il concetto di felicità è aleatorio e troppo individuale. E perché non tiene conto dei doveri dai quali nemmeno la felicità può prescindere. Il primo, ovviamente, è quello che il perseguimento della mia felicità non può arrecare danno o sofferenza ad altri. Sembrerebbe ovvio, ma non lo è, perché l’umanità non è fatta solo da persone sensibili, empatiche, generose, ma molto spesso da egoisti insensibili e menefreghisti. Ma c’è anche un risvolto più sottile. Il diritto alla felicità comporta il dovere di essere felici, ovvero di apprezzare ciò che si ha, di ringraziare il cielo, o il destino – secondo quello che è il credo individuale – per quello che ci ha dato. Conosco persone che hanno tanto, salute, bellezza, ricchezza, affetti, e sono sempre infelici, trovano sempre una motivazione per lamentarsi, per criticare, per compiangersi. Molti anni fa, intervistai per un servizio giornalistico una sciamana in Nigeria. Era una donna anziana, molto famosa: di fronte alla sua capanna aspettavano in fila ordinata centinaia di persone. Alla fine della nostra lunga conversazione, le chiesi se aveva un viatico per me. “Ricordati sempre, mi rispose, che la felicità continuativa non esiste. Ogni attimo di felicità è come una perla per la collana della tua vita. Le persone fortunate hanno collane molto lunghe, ma anche la persona più sfortunata qualche perla nella sua collana ce l’ha. Ringrazia i tuoi spiriti per ogni perla che ti viene donata, e nei momenti bui non dubitare che il futuro te ne riserverà altre.”
Come amava ripetere Sergio Marchionne, l’ultima volta in un discorso alla Fiat poco prima di morire, “i diritti sono sacrosanti e vanno tutelati. Ma se continuiamo a vivere di soli diritti, di diritti moriremo. Per questo credo che dobbiamo tornare a un sano senso del dovere, alla consapevolezza che per avere bisogna anche dare. Bisogna riscoprire il senso e la dignità dell’impegno, il valore del contributo che ognuno può dare al processo di costruzione dell’oggi e soprattutto del domani”.
Questo vale anche per il diritto alla felicità, forse ci voleva il Covid per ricordarcelo.

Viviana Kasam