Migranti e tutela delle diversità,
a Trieste il confronto è aperto
Apre anche nel segno delle diversità e dell’orizzonte di un mondo plurale da preservare l’EuroScience Open Forum 2020 inaugurato quest’oggi a Trieste. Il grande appuntamento internazionale, che vede convergere in città il meglio della ricerca scientifica internazionale e cui partecipa anche il giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche, impegnato in questi giorni nei lavori del laboratorio Redazione aperta, punta molto su questi temi.
Se ne è parlato stamane, ad esempio, nel corso dell’incontro “Noi e loro: storie e contesti di diversità umane”. Curato dalla locale Università degli studi, l’evento ha visto la partecipazione di studiosi di storia, filosofia, letteratura, psicobiologia e bioetica che hanno presentato le loro ricerche scientifico-umanistiche partendo dalle tematiche e prospettive raccolte nel volume multidisciplinare Human Diversity in Context (EUT), curato da Cinzia Ferrini per il progetto dipartimentale Trasformazioni dell’’Umano e in collaborazione con l’Academia Europaea. Al centro della riflessione la formazione culturale delle identità di gruppo e specie, delle dicotomie noi-loro, dei processi di riconoscimento dell’altro nella normatività sociale e nell’educazione, la narrativa delle identità ferite e dislocate da processi di estraneazione o diaspore.
Un tema che la redazione ha approfondito in queste ore anche assieme al regista Massimo Caputo, autore del docu-film in produzione “No borders. Flusso di coscienza” (a produrlo sono VOX Produzioni e A_Lab production). Girato lungo i 242 chilometri di confine tra Italia e Slovenia, “No borders” racconta di una migrazione poco percepita dall’opinione pubblica. Quella delle molte migliaia di persone che ogni anno, dopo aver attraversato la rotta balcanica, entrano in Italia da questa frontiera. “Veri e propri invisibili, di cui nessuno parla”, ha sottolineato Caputo nel suo incontro con Pagine Ebraiche. Per loro, in arrivo dal Pakistan come dall’Algeria, dalla Tunisia come dal Bangladesh, l’Italia diventa una vera e propria “porta per l’Europa”. La tappa obbligata di un viaggio che, nella maggior parte dei casi, li porta ancora più lontano.
Caputo, nel documentario, si dedica alle tracce del loro passaggio. Un rito quasi liberatorio segna l’ingresso in Italia: nei boschi e sui prati restano infatti non solo documenti d’identità che li renderebbero più facilmente riconoscibili e quindi passibili di espulsione, ma anche vestiti logorati dal lungo viaggio, effetti personali, oggettistica varia.
L’occhio di Caputo indaga su questi segni di vite precarie con profonda empatia e comprensione. La lezione, racconta, l’ha appresa dall’intellettuale ungherese (ma triestino d’adozione) Giorgio Pressburger. “Giorgio era solito ripetermi una frase: ‘Sono fiero di essere arrivato in Italia da profugo e senza una lira in tasca’. Parole illuminanti, che serbo ancora nel cuore”.
Il film è dedicato proprio a Pressburger, la cui vita Caputo ha già raccontato in un appassionante trilogia. No “Borders” è la sintesi di un intenso lavoro di presidio e monitoraggio dei luoghi. “Per un anno e mezzo – racconta il regista – sono stato quasi ogni giorno nei boschi del Carso triestino, lungo il confine tra l’Italia e la Slovenia. Ho incontrato numerose tracce lasciate da migliaia di migranti, provenienti da luoghi lontani che non avrei mai immaginato. Mai nessun controllo. Nonostante le centinaia di sconfinamenti, di giorno, di notte, ad ogni ora sono sempre passato indisturbato, non ho mai incontrato nessun genere di ostacoli, ma solo le tracce ed i volti degli invisibili che arrivano ogni giorno”.
(Nell’immagine in alto uno dei padiglioni di Esof, in basso Mauro Caputo con Giorgio Pressburger)
(2 settembre 2020)