Shoah, quali letture

Norman Gary Finkelstein scrisse nel 2000 The Holocaust Industry. Reflexions on the explotaition of Jewish Suffering (L’industria dell’Olocausto. Lo sfruttamento della sofferenza degli ebrei), la cui traduzione italiana è ancora disponibile. Costui scrisse che:
“Due assiomi centrali stanno a sostegno dell’impalcatura ideologica dell’Olocausto: il primo è che esso costituisce un evento storico unico e senza paragoni; il secondo è che segna l’apice dell’eterno odio irrazionale dei gentili nei confronti degli ebrei. Nessuna delle due affermazioni appare in interventi pubblici prima della guerra del giugno 1967, né, per quanto esse siano diventate la pietra angolare della letteratura sull’Olocausto, figurano negli studi critici sull’Olocausto nazista. D’altro canto, i due assiomi attingono a componenti importanti dell’ebraismo e del sionismo. Subito dopo la Seconda guerra mondiale, l’Olocausto nazista non era considerato un evento unicamente ebraico, tanto meno un evento storico unico. L’ebraismo americano, in particolare, si diede cura d’inserirlo in un contesto di tipo universalista. Ma dopo la guerra dei Sei Giorni la Soluzione Finale fu radicalmente ridisegnata. «La prima e più importante convinzione che emerse dal conflitto del 1967 e che divenne l’emblema dell’ebraismo americano» fu, come ricorda Jacob Neusner, che «l’Olocausto […] era qualcosa di unico, senza paragoni nella storia umana». In un saggio illuminante, lo storico David Stannard mette in ridicolo la «piccola industria degli agiografi dell’Olocausto che sostengono l’unicità dell’esperienza ebraica con tutta l’energia e l’ingenuità di zeloti della teologia». Il dogma della sua unicità, dopo tutto, non ha senso. Al livello più elementare, qualunque evento storico è unico, se non altro in virtù del tempo e del luogo in cui accade, e presenta tanto caratteristiche sue proprie quanto tratti comuni ad altri è definito in larga parte dalla sua categorica unicità? Come è evidente, i tratti distintivi dell’Olocausto vengono isolati allo scopo di porre l’evento in una categoria completamente separata. Non si capisce perché, in ogni modo, i molti tratti comuni debbano essere considerati insignificanti a confronto di questa specificità.”
La realtà è radicalmente diversa, e le vicende accademiche dell’autore dovrebbero aiutare a capirlo; comunque la tesi contraria all’unicità dell’Olocausto potrebbe prendere le mosse anche dalle sue osservazioni. Naturalmente, è difficile condividerle; per noi è addirittura impossibile. Basta pensare che il Rabbinato italiano, per via dei suoi più noti esponenti, ha sempre criticato la c.d. “religione della Shoah”, il che costituisce l’esatto contrario del bersaglio delle accuse di Finkelstein. Il miglior modo di persuadersi dell’infondatezza delle tesi di Finkelstein contro l’unicità dell’Olocausto è leggerlo. È più un pamphlet che l’opera di uno storico, o quanto meno, nella migliore delle ipotesi, diciamo che non si presenta nel migliore dei modi.
Ciò non toglie che, se dovessimo permetterci di fornire un consiglio ai giovani, diremmo di non escludere alcun autore, purché se ne leggano anche (non solo, quindi, perché siamo contro ogni censura) gli autori più seri ed accreditati. Un conto è leggere i commenti, altro è andare alla fonte. Leggete (anche) i grandi autori: da loro imparerete il metodo ed il rispetto della logica. Andando alla fonte, potrete controllare l’esattezza dei commenti. Anche del mio.

Emanuele Calò, giurista