Le tante pagine di un ebreo italiano

Le tante anime che dimorano in Amos Luzzatto possono essere catturate sulla carta: scorrendo i cataloghi che raccontano la sua prolifica attività di scrittore si incorre in triple identità, idee e interessi che rivelano la personalità di uno dei più autorevoli esponenti dell’ebraismo italiano. Cosa significa essere ebreo? Cosa vuol dire, poi, essere un ebreo italiano? Ed essere un ebreo italiano di sinistra? Sono queste le domande a cui Luzzatto dà una risposta personale raccontando la propria esperienza di figlio di un socialista, bambino cacciato dalla scuola per colpa delle leggi razziste, poi rifugiato in Israele, e infine medico di successo, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e attivo testimone dell’evoluzione del paese in continua lotta tra emancipazione e una costante paura del diverso dai contorni medievali. Sono numerosi i libri che portano la sua firma, a cominciare forse da quello più onnicomprensivo, Conta e racconta. Memorie di un ebreo di sinistra, edito da Mursia nel 2008, in concomitanza con i suoi 80 anni. Un esperimento letterario che, per sua stessa ammissione, non può essere definito un’autobiografia: “Questo è il mio percorso culturale e politico, quindi è giocoforza solo una parte della mia biografia. Per esempio non c’è accenno alla mia attività professionale di medico”.
Ad essere il punto di partenza, una dichiarazione di intenti: “Mi dichiaro di sinistra e sostengo che si debba promuovere una cultura di sinistra, non certo un’ideologia. E mi dichiaro al tempo stesso ebreo; certo, non un ebreo ortodosso, ma uno che è cresciuto immerso nello studio della cultura ebraica”. Ma come coniugare le due anime che alle volte la Storia pone in antitesi? Nel recensirlo, il quotidiano Repubblica definisce Conta e racconta “Un’avventurosa cavalcata attraverso illusioni e tragedie del secolo breve”, la storia sorprendente di “un comunista che parla in ebraico” e che armonizza lo studio dei midrashim con il fervente interesse per la politica italiana. Luzzatto si trova di fronte ad una verità piuttosto incontrovertibile: “Se è difficile essere un ebreo, lo è ancora di più essere un ebreo di sinistra”. Così, barcamenandosi tra il Pci e la comunità di appartenenza, si scontra con le rispettive rimostranze. Tanti i rapporti e gli incontri che vengono rievocati, specie nel periodo della fuga in Palestina (“Fummo discretamente pedinati in treno, in albergo, al ristorante. (…) Fu solo a Haifa, dopo la dogana, che mio nonno dichiarò di respirare finalmente aria di libertà”): mentre la Seconda guerra mondiale infuriava Luzzatto fu cresciuto dal nonno Dante Lattes e trascorse il tempo insieme a studiosi profughi dalla Germania e dall’Austria che forgiarono il suo carattere. E, a chi, dopo aver letto il libro, si dovesse chiedere ancora se essere ebreo e di sinistra sia inconciliabile risponde: “Le istanze egualitarie e di giustizia le ho ricavate proprio dalla cultura ebraica. La Bibbia ne è ricca, basta cercarle”.
Il ruolo degli ebrei nella società dell’Europa costituisce poi la riflessione di Luzzatto nel libro Il posto degli ebrei, pubblicato nel 2003 da Einaudi (per la stessa casa editrice ha pubblicato Autocoscienza e identità ebraica, contenuto in Storia d’Italia), i cui fini sono esplicati dalla stessa copertina con la frase “L’identità di un gruppo umano è fatta di molte storie, di mille sfaccettature. La storia degli ebrei ne è un esempio cruciale. Imprescindibile, per immaginare un nuovo continente europeo e un Occidente diverso”. Un viaggio che esplora le reazioni ebraiche ai grandi cambiamenti che hanno stravolto la storia dell’Europa e che, a partire dal tema dell’assimilazione, si interroga sulla capacità dell’Occidente di accogliere il diverso e le minoranze. Ma chi è l’ebreo? Questa la domanda del libro intervista Se questo è un ebreo di Marco Alloni, pubblicato da Aliberti. Il confronto si apre con il quesito più naturale: “Perché si sa così poco degli ebrei?”, Luzzatto risponde: “O sono loro che non vogliono farsi conoscere o sono gli altri che non vogliono conoscerli. Io sono del parere che sono le popolazioni – la gente di cultura, ma anche tutti coloro che hanno gestito il potere nella società europea durante tutte queste generazioni, durante tutti questi secoli di convivenza con il popolo ebraico – che cercano e hanno cercato di non vedere il fenomeno degli ebrei che vivevano e vivono accanto a loro. E aggiungerei che a mio avviso cercano, e hanno cercato, di non vedere tale fenomeno perché molte volte hanno avuto e hanno paura di specchiarsi in questa realtà. Un realtà che per loro è sempre imbarazzante. Imbarazzante perché è difficile capre come questa gente, alla quale io appartengo, sia arrivata a sopravvivere fino al giorno d’oggi”. E continua: “Bene o male, visto che gli ebrei sono stati prevalentemente un popolo europeo per secoli, essi appartengono alla cultura europea”. Europei sì, ma caratterizzati da una forte identità religiosa che Luzzatto esplora attraverso libri come Leggere il Midrash, pubblicato nel 1999 dalla casa editrice cattolica Morcelliana e al cui tema dedica anche un corso universitario. Nel 2011 sempre per Morcelliana esce Chi era Qohelet, l’Ecclesiaste, testo che da sempre ha incuriosito studiosi e filosofi. “Chi era Qohelet? – scrive nell’anticipazione pubblicata sul quotidiano Avvenire – La risposta della tradizione è semplice: si tratta del re Salomone, nell’ultima parte della sua vita. Infatti, “quando uno è giovane si esprime con la poesia, quando è maturo parla con proverbi sapienzali; quando è vecchio non gli resta che dire che tutto è alito evanescente” (Midrash Qohelet Rabbd, cap. 1). E tuttavia, restano non pochi interrogativi. Primo: come mai il nome di Salomone è menzionato esplicitamente nella presentazione del Cantico dei Cantici e dei Proverbi e ripetuto perfino nell’introduzione al cap. 25 del libro dei Proverbi – e non in Qohelet, dove il nome di Salomone scompare e viene sostituito da un altro nome o, forse, da uno pseudonimo?”.
È poi con la casa editrice Giuntina che Luzzatto pubblica Una lettura ebraica del Cantico dei Cantici, prendendo in esame lo Shir haShirim, le cui interpretazioni si sono moltiplicate nel corso dei secoli. Nel 2013 la Compagnia della Stampa fa uscire inoltre La vanità della memoria, una riflessione che indaga il confine tra ricordo e Memoria e, che senza mai nominare la Shoah, la fa aleggiare su ogni frase e concetto. Ricordi e guerra si intrecciano infine nel romanzo Hermann, un ebreo tedesco nella Roma del dopoguerra (ed. Marsilio), il cui omonimo protagonista, di formazione rabbinica, torna nella capitale alla ricerca di quello che credeva essere il grande amore e, dopo essere rimasto inevitabilmente deluso, decide di diventare insegnante degli ebrei romani più poveri. “Un romanzo che potrebbe inserirsi nella nuova prosa israeliana – recensisce Chiara Mattioni sul Piccolo – una prosa ‘realista’ che sottolinea il fatto collettivo (la lotta del popolo ebraico per il proprio diritto alla vita) ma che non trascura di trattare le questioni del singolo e del suo peculiare destino”. Il romanzo non smette inoltre di affrontare il tema dell’identità ebraica, come recensisce il Forward: “Quando gli ebrei di Roma si chiedono se non sia meglio ‘normalizzarsi’ e diventare come gli altri, Hermann risponde: Se ci comporteremo come gli altri non saremo più noi, gli ebrei”. “Luzzatto – continua il Forward – sa perfettamente di cosa sta parlando, nel 2005 ha scritto la prefazione de ‘Il mio cammino di tedesco e di ebreo’ di Jacob Wasserman dedicato al difficile equilibrio tra la duplice identità”. E proprio così, Amos Luzzatto attraverso i suoi libri, realizza la funambolica opera di essere un ebreo italiano. Di sinistra.

(Nell’immagine Amos Luzzatto insieme al figlio Gadi)

Rachel Silvera

(9 settembre 2020)