Liliana Segre, mazal tov!Una vita contro l’indifferenza
Una gamba davanti all’altra. Per superare l’orrore di Auschwitz. Una gamba davanti all’altra per tornare nella sua Milano e ricostruirsi una vita; per portare in tutta Italia la sua testimonianza. Per entrare a testa alta al Senato e sedersi negli scranni che nel 1938 sbatterono la porta in faccia a lei e a tutti gli ebrei italiani. Una gamba davanti all’altra fino a compiere 90 anni ed essere salutata e ringraziata da un intero paese. Liliana Segre, nonna – come spesso si definisce – di milioni di giovani, tocca un nuovo traguardo e l’intero paese le rivolge i suoi auguri, e così l’ebraismo italiano e questa redazione. Su queste pagine abbiamo raccontato come alle diverse manifestazioni con Segre, l’intera platea si sia sempre alzata in piedi per renderle omaggio. La dimostrazione di come le sue parole contro l’odio, contro l’indifferenza, la sua testimonianza di sopravvissuta ad Auschwitz, abbiano colto nel segno. Non che applausi e notorietà abbiano cambiato il suo modo sincero e disilluso di guardare la realtà: “Sono pessimista: temo che man mano che noi testimoni saremo morti tutti, la Shoah diventerà una riga in un libro di storia e poi nemmeno quella”, ha più volte ripetuto. Un pessimismo comprensibile, soprattutto in un paese che tende a dimenticare le proprie responsabilità. Un pessimismo che non le ha impedito – anzi forse ne è stato il motore – di portare avanti, appena entrata al Senato dopo la nomina a senatrice a vita del Capo dello Stato Sergio Mattarella, una battaglia concreta e attuale: una Commissione contro l’odio di cui è stata prima firmataria. “Gli odiatori, quasi tutti anonimi, devono sapere che la democrazia sa difendere secondo giustizia i propri valori e i diritti delle persone”, le sue parole in Senato, presentando la commissione. Odiatori che si sono rivolti anche contro di lei, nascosti dietro un profilo social, ma che la senatrice, senza tanto clamore, ha liquidato con ironia: “Ma cosa perdono tempo ad augurare a una nonna di 90 anni la morte? Non hanno di meglio da fare?”, il suo commento. Lei che l’odio più feroce lo ha vissuto sulla sua pelle, deportata 13enne ad Auschwitz insieme al padre Alberto, che dal lager nazista non farà mai ritorno. Un padre amato e mai dimenticato, per cui Segre ha fatto posizionare in via Magenta 55 una pietra d’inciampo. Ricordo personale ma anche per tutta la città di Milano, che rimase silenziosa mentre i Segre e gli altri ebrei venivano portati via. “Ricordo Milano, la mia città, dove sono nata e cresciuta, che rimase totalmente silente, muta, indifferente. I milanesi avevano altri problemi e non badavano al destino degli ebrei”. Per questo ha voluto che sul muro del Memoriale della Shoah – che sorge su quel binario 21 della Stazione centrale da dove fu deportata il 30 gennaio 1944 – ci fosse scritto a caratteri cubitali: Indifferenza. “Il mio messaggio continuerà ad essere questo: di indifferenza si può anche morire. Ne so qualcosa. E lo dirò ovunque: nelle scuole, e da adesso anche nell’aula del Senato”, ci aveva spiegato nel giorno del suo ingresso al Senato. “La vita è molto strana, sono così vecchia che purtroppo mi ricordo delle leggi razziste di 80 anni fa. Allora la mia colpa era quella di essere nata. Oggi mi viene riconosciuto come merito. Questo ho detto al Presidente quando mi ha chiamato per annunciarmi la nomina”, le sue parole a Pagine Ebraiche pochi minuti dopo la telefonata del Capo dello Stato Mattarella. “È un’onorificenza molto bella, di cui andare orgogliosi – aveva aggiunto – ma la mia vita non cambia, continuerò a dare la precedenza alle scuole. Il mio compito è quello di parlare ai ragazzi e non smetterò di farlo”.
E i giovani, le migliaia di studenti incontrati in questi anni, hanno sempre ricambiato questa attenzione. Ma anche in questo caso Segre non si è mai abbandonata alla retorica “del mondo migliore”, pungolando i suoi ascoltatori. “Quando parlo davanti ai ragazzi, centinai di studenti, dico sempre: ‘Se almeno uno o due di voi si ricorderà di me, sarò felice’. Uno o due di fronte a una moltitudine. No, non sono ottimista ma comunque questo pensiero mi da la forza di continuare. – le sue parole a Pagine Ebraiche – E conservo sempre la speranza”. Questo modo diretto e chiaro di guardare e raccontare il mondo, di testimoniare il suo essere sopravvissuta ad Auschwitz – “una gamba davanti all’altra, mi dicevo: voglio vivere” – l’ha resa un punto di riferimento per l’intera società. Non è un caso se durante i mesi più difficili della pandemia in molti l’abbiano cercata per avere una sua riflessione sulle nostre vite sconvolte. A Pagine Ebraiche aveva risposto: “Devo dire la verità, la cosa che fa più paura è morire da soli. Io ho già visto quelli che morivano soli, ma non credevo di essere ora anch’io in prima linea. È un grosso distacco, inimmaginabile”. Riflessioni che ci ricordano la durezza di quei giorni. Ora il Paese è ripartito e sta cercando di ricostruirsi. E in questa fase di grande incertezza le parole chiare, dirette, spesso accompagnate da un’acuta ironia, di Liliana Segre rappresentano un dono prezioso. Per questo grazie Liliana Segre e tanti auguri. Ad mea’ve’esrim!