Temperatura e responsabilità
Già il rientro a scuola in queste condizioni sarà tutt’altro che facile. Già dovremo rinunciare a tutte le nostre abitudini, agli intervalli (che saranno delle semplici pause ciascuno nella propria aula), ai caffè, a scambiare due parole con i colleghi o con i compagni di altre classi. Già sarà faticoso dover evitare i lavori a coppie o in gruppo, non poter condividere libri o prestare penne o matite. Già è stato complicato organizzare gli orari, i percorsi di entrata e di uscita, la disposizione dei banchi e tutto il resto. No, tutto questo non bastava, evidentemente non era abbastanza complicato. Doveva ancora arrivare la ciliegina sulla torta, l’ordinanza del Presidente della Regione Piemonte che impone alle scuole di misurare la temperatura a tutti i ragazzi tutte le mattine. Un gesto semplice di pochi secondi ma che se deve essere ripetuto per mille o millecinquecento allievi, con tutte le regole di distanziamento e sanificazione, rischia di intasare per chissà quanto tempo non solo tutti gli ingressi delle scuole ma anche la circolazione nelle strade adiacenti. E chissà come sarà divertente in pieno inverno aspettare la misurazione della temperatura in coda per strada sotto un diluvio o una nevicata.
Una disposizione che cambia le carte in tavola a pochi giorni dall’inizio delle lezioni, dopo che già in ciascuna scuola erano stati fatti studi e calcoli sugli spazi e sui tempi dell’entrata e dopo che ai ragazzi e ai genitori erano state fornite informazioni e istruzioni, sarebbe comunque discutibile al di là del suo contenuto. In questo caso, poi, a parte gli evidenti problemi pratici, è molto triste pensare che neppure in una situazione di emergenza si ritenga giusto richiedere dalle famiglie un po’ di responsabilità. Scoprire di avere la febbre solo dopo essere arrivati a scuola – dopo essersi già schiacciati in autobus, treni e metropolitane, per strada o nella coda per entrare – è davvero troppo tardi: a quel punto gran parte del danno è già stato fatto; e dunque, dal momento che la responsabilità delle famiglie è necessaria comunque, perché obbligare le scuole a non fidarsi di loro?
Se crediamo che l’educazione dei giovani sia un valore imprescindibile e che pur di aprire le scuole valga la pena correre qualche rischio com’è possibile che poi non si dia nessuna importanza a cosa faranno i ragazzi una volta arrivati a scuola? Possibile che sia considerato inevitabile che si sacrifichino allegramente due, tre, magari anche sei ore ogni settimana solo per non chiedere alle famiglie di assumersi un minimo di responsabilità? Vorrei domandare a tutti coloro che tuonavano contro la didattica a distanza: siamo proprio sicuri che stare mezz’ora in coda ad aspettare la misurazione della temperatura sia così straordinariamente più educativo che leggere e commentare un canto di Dante tutti insieme ciascuno davanti al proprio computer? Viene anche il sospetto che in realtà si tratti solo di giochi di potere, tra governo e regione o tra regione e ufficio scolastico regionale. Sarebbe un curioso paradosso: per stabilire chi ha la responsabilità si rinuncia a insegnare la responsabilità.
Delle mie diciotto ore di cattedra cinque sono iniziali. Pensare che sia il caso di preparare quelle cinque lezioni, almeno nella prima settimana, richiede una bella dose di ottimismo. Ma forse a una settimana da Rosh Hashanà l’ottimismo non guasta.
Anna Segre