Liberare Avera Menghistu
Ora sono sei anni interi. Avera Menghistu, il ragazzo di origini etiopi scomparso anni fa, non è tornato. Chissà che fine avrà fatto. L’ennesimo episodio di un israeliano rapito sul quale Hamas specula. Certo le circostanze in questo caso sono state diverse: è stato lui ad attraversare il reticolato di sicurezza con Gaza, in pratica è stato lui ad andare da Hamas. Ma questo fa parte del problema, dato che Avera è mentalmente instabile: proprio per questo non fu accettato dall’esercito. Solo Hamas asserisce cinicamente il contrario.
Tutti sappiamo che il liberare prigionieri è una grande mitzwà. Lo Stato di Israele è stato costretto più e più volte a confrontarsi con il problema pratico: fino a che prezzo pagare pur di liberare? La Halakhà stessa stabilisce infatti che non si debba pagare un riscatto esagerato, al fine di non incoraggiare il ripetersi di rapimenti. Il principio è chiaro, stabilire quale sia il limite pratico è assai più complicato ed infatti il dibattito è sempre stato molto acceso in occasione di ognuno dei casi che abbiamo avuto.
Ma se è ragionevole porre un limite al prezzo da pagare, non c’è invece nessun limite ragionevole all’attivismo in favore della persona rapita. In passato abbiamo saputo creare mobilitazioni spettacolari, in Israele come in diaspora. Abbiamo fatto manifestazioni, appeso gigantografie fuori dai Betè haKeneset, intrapreso ogni sorta di iniziative. Ora è la volta di Avera Menghistu, l’emblema del povero che la Torah ci comanda di difendere, del debole per il quale la nostra coscienza civica ci deve imporre di agire: famiglia “di bassa estrazione socio-economica”, immigrato, infermo. Possiamo e dobbiamo fare di più per lui, in ogni luogo. Decidere proprio in questi giorni di analisi critica delle nostre azioni che serve un maggiore impegno, che qui abbiamo un’occasione di mettere in pratica “tutti gli ebrei sono responsabili l’uno per l’altro”, un’occasione che non possiamo rimandare oltre!
Rav Michael Ascoli