Riformare la politica

La violenza diffusa, fisica e informatica, invade la nostra società. Chi con slancio spontaneo si oppone all’argomento brutale della forza fisica tentando di placarla e di riportare un diverbio tra ragazzi a un livello di civiltà, come cercava di fare il giovane Willy Duarte Monteiro a Colleferro, viene schiacciato e annientato da un’ esplosione distruttiva di arti marziali; nelle ore seguenti sui social, accanto alle reazioni indignate, spicca l’entusiasmo razzista di chi con parole indecenti inneggia alla soppressione del ragazzo originario di Capoverde.
È solo l’ultimo episodio, particolarmente grave e disgustoso, di una barbarie che gradualmente, in modo rapido e inesorabile si impossessa della nostra società, del nostro mondo sedicente civile e democratico, snaturandone i connotati, spolpando e disossando la sua sostanza umana e lasciando al suo posto solo detriti, marciume corrotto, e insieme altisonanti principi sbandierati da tutti ma ormai privi di vita e svuotati di senso, pura forma scarnificata e astratta che bene esprime la falsità di fondo in cui siamo immersi, l’ipocrisia dei rapporti interpersonali che su quei principi dovrebbero essere fondati. I pestaggi e le uccisioni di afroamericani da parte della polizia in tante città degli Usa, colpevolmente sottovalutati da un Presidente che senza pudore tende a giustificare il comportamento degli agenti, parlano lo stesso linguaggio di squallore e di smarrimento dell’umanità, con la forte aggravante di una più delineata impronta razzista e della loro provenienza da parte dei rappresentanti dello Stato e – formalmente – della Giustizia.
Ovunque ormai, nel cuore del cosiddetto sviluppo e del cosiddetto progresso, fatti del genere sono quasi all’ordine del giorno. Ovunque, nelle ore e nei giorni successivi, si grida con indignazione contro lo scandalo della disumanità, dell’ingiustizia, del razzismo di cui la violenza si fa portatrice. Ovunque appelli ai valori di solidarietà umana e di civiltà vengono puntualmente lanciati e disattesi. I proclami sono la foglia di fico della società e delle istituzioni.
Anzi, qualcosa di di peggiore e di più inconfessabile. Sempre più, nell’era della comunicazione globale informatica, le condanne moraliste – gli appelli generici e universalizzanti in nome dei principi di giustizia – le denunce ricorrenti del razzismo, dell’intolleranza, della violenza tendono a trasformarsi in vuoti ma utili strumenti di propaganda politica. Vuoti perché non concretamente sostanziati da adeguate azioni complessive di paesi e sistemi sociali nel segno dei valori umani; utili perché alla resa dei conti remunerativi per l’immagine di coloro che li hanno abilmente lanciati e presentati. In una società che costruisce politica attraverso l’immagine (visiva, verbale, emozionale) e non più con concreti cambiamenti strutturali, l’emergere come paladini – ancorché solo a parole – dei diritti si rivela pagante per leader, partiti, movimenti, istituzioni; e poco importa se poi le linee programmatiche e le decisioni conseguenti tardano a realizzarsi.
Esiste dunque una strumentalizzazione politica dei valori (impiegando la parola “politica” nel senso deteriore del termine). Come naturalmente esiste – ed è molto più evidente – una strumentalizzazione politica dei disvalori. Si fa certo politica brandendo il razzismo come un’arma in nome di un’inviolabile identità autoctona (“prima gli italiani”), impugnando l’intolleranza e il rifiuto come espressione di una paura sociale nei confronti del “diverso”e dell’ “invasione degli immigrati”, usando l’apparato aggressivo del nazionalismo per alimentare spinte sovraniste volte al protagonismo (e all’isolamento) internazionale.
Qual è il risultato di questo strumentalismo generalizzato? Se ai colpi violenti contro il corpo civile della società – che siano inferti solo per degenerazione culturale spontanea dell’insieme o per ben precise mire di autoritarismo politico, di omologazione a modelli intolleranti e di repressione nei confronti delle diversità – non si risponde con autentica volontà di intervento sociale, di approfondimento culturale, di riforma strutturale ma solo con vaghe e infervorate espressioni di cordoglio, di denuncia, di auspicato cambiamento, allora le condizioni patologiche nelle quali esso versa non migliorano ma ristagnano e tendono necessariamente a peggiorare. Vale a dire che se come probabile la reazione a questi traumi continuerà ad essere sostanzialmente passiva, non si argineranno i fenomeni della violenza diffusa, del razzismo dilagante, del bullismo informatico via social; anzi essi continueranno ad aumentare in modo esponenziale, come sta accadendo da qualche anno a questa parte, e il problema cioè la malattia della società attuale si acuirà sino a divenire incurabile.
Facciamo politica col Coronavirus e con le misure per il suo contenimento; facciamo politica col razzismo e con l’antirazzismo; facciamo politica con la violenza fisica e verbale; facciamo politica con la condanna generica della violenza; facciamo politica con la ricerca di consenso ad ogni costo. Tutto – anche i valori e i principi – è trasformato oggi in espediente di visibilità politica per raggiungere il controllo di settori significativi dell’opinione pubblica. Possibile che non si possa tornare a interpretare e praticare la politica non come puro mezzo di potere ma per la sua destinazione fondante, cioè come strumento per riformare la società e i suoi rapporti alla luce di una visione collettiva?

David Sorani