La Breccia da ricordare

“In questo supremo momento, in questo avvenimento mondiale della caduta del Potere temporale dei pontefici di Roma, crediamo prezzo dell’opera di un giornale israelitico di far rilevare la terribile condizione in cui si trovavano i suoi correligionari per tanti secoli sotto il governo dei Papi, non solo nei tempi antichi, ma ben anco negli ultimi anni…”.
Non nasconde la propria soddisfazione il Corriere Israelitico nel commentare a caldo Porta Pia con la sua benefica conseguenza, tra l’altro, di porre fine al ghetto romano, ripercorrendo secoli di persecuzioni e vessazioni.
Vi vede, ulteriormente, un aspetto miracoloso e annunciatore “di quel giorno in cui Dio sarà uno e il Suo nome uno”: nelle pagine precedenti si parla di “liberazione di Roma dal giogo papale” e della “liberazione dei nostri correligionari”, dando ampio risalto al messaggio, firmato “Gl’Israeliti di Roma”, inviato il 23 settembre 1870 da quella Comunità alla “Sacra Reale Maestà di Vittorio Emanuele Re d’Italia”: “Sire! Ora che un valoroso Esercito Nazionale è venuto a restituir Roma nell’uso della sua libertà…questi Israeliti sentono il bisogno di offrire alla Maestà Vostra l’omaggio della loro immensa gratitudine, come Italiani, come Romani, e come Israeliti”.
“Come Israeliti”, si afferma poi, “sottoposti finora ad una condizione eccezionalmente dolorosa, noi entriamo anelanti di gioia nel diritto comune…Noi ricordiamo qui ora il nome d’Israeliti per l’ultima volta nel momento che passiamo da uno stato d’interdetto legale al Santo Regime dell’uguaglianza civile…”.
Non manca, il messaggio, di sottolineare come “gravi, e profonde sono le piaghe aperte dal passato nel nostro seno; piaghe economiche, morali ed intellettuali. Non possiamo dissimularlo. I nostri concittadini Cattolici sanno pur essi che la colpa non è nostra e, tranne eccezioni, ogni giorno più rare, ci hanno dato finora quello che hanno potuto: una protesta viva, sebbene impotente, in nostro favore, e le più calde simpatie”, auspicando quindi una comunione d’intenti che, “d’ora innanzi”, aiuti a sanare quelle “piaghe”.
Interessante è vedere come, invece, affronta l’avvenimento Porta Pia un altro giornale ebraico dell’epoca, ovvero “L’Educatore Israelita”, che titola “Roma”: “Il potere temporale è caduto. È questo, senza dubbio, uno dei più grandi avvenimenti del secolo. Noi salutiamo questo grande avvenimento con un senso profondo di compiacenza, di speranza e di gioia cittadina”.
“Tolga Iddio che in questo nostro saluto vi sia né anche l’ombra d’insulto al vinto…Ma noi non ci peritiamo punto a cantare osanna”, perché, a nostro credere, prosegue la nota, “non ci sono né vincitori né vinti…”.
Il giornale vercellese sembra voler far propria, anzi rafforzandola oltre quanto lo statista sostenesse, la visione che emerge nei celebri, a tratti profetici essendo stati scritti prima dei fatti di Porta Pia ai quali egli non assistette essendo prematuramente scomparso, discorsi di Cavour sul “Libera Chiesa in libero Stato” e Roma Capitale.
Prefigura infatti quella posizione che la Chiesa, in realtà, faticherà ad assumere, se non dopo svariato tempo (portando poi qualche strenuo laico a sostenere che, alla fine, Porta Pia si è rivelato un errore avendo aperto alla Chiesa, nel senso politico, le porte della società italiana…), quando scrive: “Vince l’Italia che si vede oramai compiuta. Vincerà il sentimento religioso che, cessando finalmente la sua lunga e sanguinosa lotta col progresso e col secolo, spiegherà più potenti le ali a nuovo volo. Partigiani del sentimento religioso, quand’anche esso si spieghi sotto altra forma dalla nostra, purchè si sposi alla civiltà e al progresso, noi godremo del suo trionfo come un preparazione più pronta alla universale fratellanza promessaci nei tempi messianici”.
In attesa dei tempi messianici, ricordare Porta Pia ancora dopo 150 anni ritengo che sia doveroso anche e, per certi versi, in particolare per il mondo ebraico. Ovviamente non per ritualità “nostalgica” o di contrapposizione, ma per interrogarsi su come la società nella quale viviamo intenda la laicità della sfera pubblica, quella che tutti riguarda nella contestuale garanzia per ciascuno, in reciproco rispetto, di vivere la propria peculiarità.
Sotto questo aspetto molta strada appare ancora da fare e non mancano contraddizioni e questioni irrisolte, stante anche una marcata e trasversale tendenza del mondo politico a cercare di strumentalizzare il sentimento religioso cattolico, non di rado definendolo “nostra cultura”, con intenti politici spesso illusori (anche perché ad opera di personaggi assai poco credibili).
Il tema della laicità, in questo paese, è scomodità costante e datata e anche il mondo ebraico, a parte le dichiarazioni di principio, sembra affrontarlo con estrema timidezza.
Spero quindi che il ricordo dei fatti di Porta Pia venga rinverdito in occasione dell’imminente importante anniversario, anche dalle nostre istituzioni.
E magari, approssimandosi la data, “buttiamo un’ashkavà” (modo di dire livornese che può apparire stridente ma in realtà è carico di affetto e rispetto verso la persona scomparsa di turno) in ricordo di Giacomo Segre.
Buon Porta Pia e Shanà Tovà,

Gadi Polacco

(16 settembre 2020)