Rivlin alla vigilia del nuovo lockdown
“La politica ridia fiducia a Israele”

La politica riconquisti la fiducia dell’opinione pubblica israeliana e dia prova di lavorare in modo efficace nella lotta contro la pandemia. È quanto chiesto dal Presidente d’Israele Reuven Rivlin nel discorso tenuto alla vigilia di Rosh HaShanah e della chiusura di tre settimane dell’intero paese a causa del coronavirus. Comprendendo la rabbia e le paure di una società che si trova a dover nuovamente vivere la quarantena, Rivlin ha chiesto in primo luogo scusa ai suoi concittadini. “Capisco i sentimenti di confusione e incertezza, l’ansia che molte persone provano. Capisco e, prima di tutto, voglio scusarmi per questo. A livello personale, vi chiedo perdono per il mio comportamento qui a Beit HaNasi (residenza del Presidente) durante l’isolamento di Pesach. Mi sono scusato per questo in passato, e lo farò di nuovo oggi. La mia solitudine non è più dolorosa della solitudine che molti di voi – così attenti a seguire la parola e lo spirito delle misure – provano”, ha dichiarato Rivlin (nell’immagine assiema al Premier Benjamin Netanyahu), che durante Pesach aveva violato i divieti, incontrando alcuni famigliari. Il Presidente ha poi ricordato il prezzo delle misure restrittive. “Abbiamo festeggiato con le nostre famiglie sotto grandi restrizioni, abbiamo pianto i nostri morti in modo non degno, abbiamo vissuto la nostra vita con compromessi dolorosi nella convinzione che il Paese e le sue istituzioni ci avrebbero fatto uscire rapidamente da questa crisi. Voi, cittadini di Israele, meritate una rete di sicurezza che il Paese vi offre. I responsabili delle decisioni, i ministeri del governo, i responsabili dell’attuazione delle politiche devono lavorare per voi e solo per voi. Per salvare vite umane, per ridurre l’infezione, per salvare l’economia”. Ma, interpretando un sentimento popolare, Rivlin ha parlato di una insoddisfazione diffusa nei confronti della politica, incapace di dare le garanzie elencate. “E ora, oggi, miei cari colleghi israeliani, siamo costretti a pagarne di nuovo il prezzo”, con un nuovo lockdown. La chiusura inizierà venerdì alle 14, a poche ore dell’inizio di Rosh Hashanah, e rimarrà in vigore anche durante Yom Kippur e Sukkot, per terminare il 9 ottobre dopo Simhat Torah.

La chiusura a livello nazionale includerà severe limitazioni al movimento delle persone, all’attività economica, ai raduni, la chiusura del sistema educativo, oltre ad altre restrizioni destinate a combattere la pandemia. Il lockdown è stato definito dalle autorità come necessario alla luce del grande numero di contagi nel paese: Israele è infatti tra i primi posti per numero di positivi al Covid-19 in proporzione alla popolazione. Nella settimana che sta per chiudersi si è arrivati a toccare il record di 6000 contagi registrati in un giorno, un dato che preoccupa soprattutto per la tenuta degli ospedali. Per il momento il sistema sanitario non è congestionato ma, come hanno spiegato gli italkim a Pagine Ebraiche, nessuno vuole vedere una replica di quanto accaduto in Italia a marzo-aprile. E così si torna a chiudersi per tutelare la salute pubblica. Intanto migliaia di persone rischiano di perdere il proprio posto di lavoro e l’atmosfera raccontata dai quotidiani è di sfiducia generalizzata nei confronti della politica. Voglio dire al governo di Israele, ai suoi leader, ministri e consiglieri: la fiducia del popolo è al di là di ogni valore. Dobbiamo fare di tutto per ridare fiducia personale, medica ed economica ai nostri concittadini”, le parole di Rivlin. “Questa è una seconda possibilità e dobbiamo coglierla, perché temo che non ne avremo una terza”.

Poi l’invito a non trovare capri espiatori. “Dobbiamo evitare di dare la colpa ad altre parti della società come se un settore fosse ‘responsabile’ della diffusione della malattia. Ogni gruppo e comunità della nostra società gioca un ruolo cruciale nella nostra forza combinata e nella nostra capacità di vincere questa battaglia. Non riusciremo a prevalere con dita puntate e accuse tossiche. Solo insieme potremo farcela. Quando combattiamo contro il coronavirus, siamo insieme – ebrei e arabi, laici, religiosi e haredim – negli ospedali, nelle scuole e nelle organizzazioni caritatevoli. Insieme, impariamo in tempi come questi che cos’è la collaborazione, che cos’è la responsabilità reciproca, che cos’è la speranza israeliana”.

dr

(foto – ufficio della Presidenza d’Israele)