Angurie combustibili

Chi è stato in Israele e in altri paesi del Medio Oriente avrà notato con sorpresa l’abbondanza e la frequenza di negozi e banchi dei mercati che offrono semi di vario tipo, non per la semina, ma per il piacere del palato del consumatore. Spesso sono abbrustoliti, altre volte sono salati o grossolanamente canditi con zucchero. Sulla loro varietà torneremo in futuro, ma oggi è interessante considerare un caso particolare che Israele ha affrontato e risolto in modo molto “verde”. Una frazione importante di questi semi sono quelli delle angurie che ben essiccati vengono offerti al consumo. La quantità di semi richiesta dal mercato è così importante che le coltivazioni locali di anguria forniscono al settore alimentare circa 2.800 tonnellate di semi l’anno.
Mentre per il consumo della polpa fresca l’abbondanza di semi costituisce un difetto, una varietà particolare, la Malali, non è particolarmente nota per l’aroma della sua polpa, quanto, piuttosto, per i suoi semi croccanti, che sono l’unica parte dell’anguria che viene utilizzata. Il resto del frutto viene gettato nel campo, dove va sprecato. Ma partiamo dall’inizio: la varietà Malali prende il nome da Kfar Malal villaggio fondato nel 1922 nell’area dello Sharon, con il nome di Ein Hai (“Fontana della vita”) e successivamente rinominato Kfar Malal, in onore del letterato Moshe Leib Lilienblum (1843-1910) (il cui acronimo è MLL: Malal), famoso esponente dei movimenti presionisti russi. In Israele l’anguria Malali viene coltivata su un’area complessiva di 4.000 ettari.
A un certo punto della crescita, gli agricoltori smettono di irrigare le piante per circa due settimane, il che provoca uno stress fisiologico dei frutti. Questo modifica la fisiologia delle piante che sembra quasi “prendano cura della prossima generazione”, accelerando il processo di maturazione dei semi.
Quando i semi sono maturi, una mietitrebbia separa i semi dal frutto e li raccoglie, mentre la polpa e la buccia, che insieme costituiscono il 97% del peso del frutto, vengono abbandonate sul campo.
“Lo spreco qui è chiaro e lampante”, afferma Yoram Gerchman, professore associato del Dipartimento di Biologia e Ambiente dell’Università di Haifa che ha coordinato uno studio sull’utilizzo della polpa delle angurie.
Questo spreco non costituisce soltanto un “mancato guadagno”, ma ha anche indesiderabili conseguenze ambientali. La polpa infatti costituisce il 59% del peso dell’anguria Malali, ma non viene utilizzata a causa della scadenti qualità organolettiche soprattutto rispetto ad altre varietà coltivate appunto per l’eccellenza del sapore. Pertanto, ogni anno, circa 56.000 tonnellate di polpa di anguria vengono gettate nei campi. Di queste 5.600 tonnellate sono zuccheri. Quando batteri e funghi del terreno iniziano a utilizzare gli zuccheri per il loro nutrimento, nei processi metabolici che seguono, rilasciano gas serra (per lo più biossido di carbonio), che contribuiscono alla crisi climatica.
I ricercatori hanno calcolato che, ogni anno, con questi meccanismi vengano immesse nell’atmosfera fino a 8.200 tonnellate di anidride carbonica. Altra anidride carbonica era stata già immessa nell’ atmosfera durante il processo di coltivazione, a causa dell’impiego di attrezzature agricole, (motori di trattori ed altro), fertilizzanti, e acqua – e tutto per un prodotto che viene sprecato al 97%.
Nel nuovo studio, i ricercatori hanno preso in esame l’alternativa di utilizzare i cascami della produzione di semi per produrre etanolo.
Oggi, vi sono motori alimentati da etanolo, ma anche un normale motore a benzina può funzionare con benzina contenente fino al 10% di etanolo.
Uno dei benefici associati all’uso del bioetanolo, e dei biocarburanti in generale, è la riduzione della dipendenza dai carburanti fossili: carbone, petrolio, e gas naturale, le cui riserve vengono depauperate senza la possibilità di essere rigenerate.
In Israele, dove è ancora necessario importare la maggior parte delle sementi cerealicole, non esiste un’industria dell’etanolo perché questa, appunto, ha bisogno di cereali quali materia prima per funzionare. L’utilizzo degli scarti dell’anguria, però potrà consentire la produzione di etanolo senza la necessità di sprecare terreni agricoli da dedicare esclusivamente alla produzione di alcol.
Quando un’anguria non viene annaffiata, perde liquidi, ma non il suo contenuto di zuccheri. Pertanto, la percentuale di zucchero presente nelle angurie Malali mature cresce, arrivando al 18%, contro solo il 10% delle varietà edibili.
Oltre all’etanolo, i ricercatori hanno, poi, preso in esame la possibilità di usare gli scarti dell’anguria per produrre licopene: un integratore alimentare utilizzato perché antiossidante. Il licopene conferisce al frutto il suo colore rosso, ed è presente in grandi quantità nell’anguria oltre che in pomodori coltivati proprio per questo scopo.
Gerchman spera che, in futuro, la produzione di etanolo dagli scarti di angurie possa diventare una realtà importante nei campi.
Va sottolineato, tuttavia, che, dal momento che l’industria israeliana delle angurie è piuttosto piccola, la quantità di etanolo che può essere prodotta con questo sistema è, secondo i ricercatori, pari a 2.900 tonnellate l’anno cioè una minima parte del fabbisogno dell’industria dei carburanti. Però è importante come principio e potrebbe essere l’inizio di un nuovo orientamento produttivo e forse di un nuovo settore di produzione: l’utilizzazione massiva di scarti vegetali per produrre bioetanolo in alternativa all’impiego di combustibili (non rinnovabili) di origine fossile.

Roberto Jona, agronomo

(Nelle immagini, esposizione di semi commestibili al mercato)