Rispettarsi fra esseri umani
Nulla sembra venire senza motivo. Nulla è lasciato al caso. E ogni frammento vale la pena di essere sondato.
In questi giorni di pentimento e di ‘ritorno’ a un comportamento corretto nei riguardi del prossimo e della tradizione ricevuta, mi sono chiesto perché, quando si sale alla lettura del Sefer, e prima di pronunciare il Barechù, vi sia l’uso (soprattutto presso i sefarditi) di pronunciare la formula ‘HaShem ‘immachem’, a cui ci si sente rispondere ‘Yevarechechà HaShem’.
Si scopre, grazie al figlio che ti siede accanto al Beth HaKeneseth, che la doppia formula deriva dal libro di Ruth, dove Boaz così saluta i suoi mietitori (‘HaShem ‘immachem’) e così quelli gli ricambiano il saluto (‘Yevarechechà HaShem’). Si trovano varie spiegazioni del motivo per cui Boaz pronunci il Nome a inizio della sua frase e i mietitori gli rispondano pronunciandolo alla fine della loro frase. Sembra, in ogni caso che, nel rapporto fra Boaz e i suoi lavoratori, Dio sia inizio e fine, che quanto intercorre fra di loro sia tutto compreso all’interno del loro rapporto con Dio, regolato da esso.
Il Barechù che si pronuncia davanti al Sefer per invitare a benedire il Nome e a riconoscersi in Lui sembra allora appropriatamente preceduto, nella tradizione sefardita, da un saluto fra le persone che attorniano il Sefer e si accingono a leggerlo, riconoscendo il valore e il significato della Legge. Come a dire che, per far parte della comunità di chi si riconosce nella Torah, è bene ed è necessario, prima, riconoscersi e rispettarsi fra esseri umani. La costituzione della comunità appare come premessa necessaria per l’avvicinamento alla Legge, così come la Legge è necessaria per la costituzione della comunità. Solo se si salvaguarda l’integrità del rapporto sociale e comunitario ci si può confrontare trasparenti con la propria coscienza spirituale.
Tutte premesse necessarie, non sempre facili da realizzare.
HaShem immachem.
Dario Calimani