Rosh haShanah all’aperto

Un Rosh haShanah molto particolare: la capienza delle sinagoghe drasticamente ridotta a causa del Covid-19, in Israele come in diaspora abbiamo visto fare tefillòt all’aperto, abbiamo avuto tanta gente che è rimasta fisicamente fuori dal tempio oltre a chi ha rinunciato a priori ad avvicinarsi. Si può vedere in questo anche un messaggio positivo: uscire fuori, cercare l’ebreo che alla sinagoga non arriva. L’aprirsi all’esterno è sempre un gesto di speranza. In tempi di troppe controversie interne – il kotel con le suddivisioni in capsule non è forse un’immagine plastica delle nostre divisioni? – potrebbe simboleggiare al contrario un desiderio di riunificazione, lo shofar che suona per strada essere visto come un originario richiamo a raccolta del popolo intero. Un percorso, quello dell’uscire fuori dalle mura del tempio alla ricerca degli altri, sicuramente da proseguire.
Il messaggio principale rimane però negativo: trasferire la tefillà dall’interno del tempio alla pubblica piazza è classicamente un segno di costrizione, di esilio, che rispecchia una preghiera non corrisposta: così ce lo descrive il trattato di Ta’anìt all’inizio del secondo capitolo. Anche questo deve spingerci a qualche riflessione, e forse in particolare a rivalorizzare o se preferite a valorizzare maggiormente il beth ha-kenèset come luogo di preghiera: se è vero che è lecito organizzare un minian in ogni luogo, resta comunque maggiore il valore di una tefillà fatta al tempio, e il tempio come luogo fisico ha una sua “santità” (qedushà), è quel “miqdàsh me’àt”, quel “piccolo Santuario” che insieme alla casa di studio rappresenta la sopravvivenza del popolo ebraico dopo la distruzione del Beth ha-Miqdàsh. I nostri Maestri stabiliscono che è proibito vivere in una città dove non vi sia un tempio, e nella storia ebraica, in Italia come altrove, il tempio è risultato spesso più curato e più ricco delle proprie stesse case. (Ri)valorizzare la centralità della sinagoga è probabilmente uno dei segnali di questa epoca segnata dal virus.

Rav Michael Ascoli