Periscopio
Con chi non dialogare

Capita a volte di leggere un articolo che dice esattamente quello che pensi tu. Ed è francamente bello vedere che i tuoi pensieri e i tuoi sentimenti possano essere in così assoluta sintonia con quelli di una persona che stimi e ammiri. In questo caso, mi riferisco a un contributo scritto da Enzo Campelli sul numero cartaceo di settembre di Pagine Ebraiche, intitolato “Una pratica anti-pregiudizi che deve maturare ancora”. Non avrei niente da aggiungere a quanto scrive Campelli, salvo un piccola aggiunta finale.
Dice, a proposito dell’esternazione di un certo signore, di cui non voglio pronunciare il nome, il quale ci ha abituato alle sue amenità (del tipo: Hitler era severo ma giusto, i meridionali sono esseri inferiori, gli ebrei rompono i c. con la Shoah, l’unico immigrato buono è quello annegato [una di queste frasi, non ricordo quale, è inventata, ma le altre sono autentiche]), che è un grave sbaglio controbattere a queste esternazioni, dicendo che non è vero, ci sono anche dei meridionali bravi, gli ebrei non sono poi così petulanti ecc., perché, così facendo, se ne legittima implicitamente lo pseudo-pensiero, lasciando intendere che le parole del signore siano degli argomenti come tutti gli altri, con i quali ci si può normalmente confrontare, adducendo delle adeguate contro-argomentazioni. “Per quale ragione – scrive l’opinionista – una dichiarazione che sarebbe semplicemente materia per la legge Mancino – n. 122/1993, recante Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa – diventa oggetto di tante argomentate repliche sui social e sulla stampa?”.
Già, davvero incomprensibile. Per mia natura, sono sempre molto aperto al dialogo e al confronto, e mi annoierei a parlare solo con persone che la pensano come me. L’asticella che non si deve superare, per potere parlare con me, è molto alta, bisogna dire davvero qualcosa di terribile perché io rifiuti di interloquire con qualcuno, o anche solo di pronunciare il suo nome. Ma un’asticella, alta quanto si vuole, ci deve pur essere. È molto sbagliato dialogare con chiunque, perché non ci può essere nessun dià-logo con qualcosa che è l’esatto contrario del logos, della parola. Cosa è il logos? È un veicolo, un vettore, un trasmettitore di senso, di significato. Un senso che può essere bello o brutto, condivisibile o no, ma comunque ha una sua consistenza, quella dignità che permette al mero suono di diventare parola. È il meccanismo che portò il Creatore, nel Gan Eden, a chiedere ad Adamo di dare un nome a tutte le cose, e poi a ingiungere a Mosè di scrivere di suo pugno – affinché ne capisse il senso -, sulle Tavole della Legge, le parole che gli avrebbe dettato.
Quelli di Adamo e poi di Mosè non erano puri suoni, segni casuali, frutto del caso, dei movimenti della natura: erano parole, devarìm, fatte di significante e significato. E che chiedevano, perciò, una presa di posizione, un confronto, una risposta.
Ma qual è il significato delle sillabe fuoriuscite dalla tastiera di quel signore innominabile? Esiste un messaggio, un contenuto, un logos? E qual è? Perciò, a mio avviso, chiunque interloquisca con esseri del genere, sia pure in buona fede, rischia di degradarsi, di abbassarsi, anche se inconsapevolmente, al suo stesso livello.
Ho esposto, con parole mie, quello che mi pare il nocciolo del pensiero di Campelli. Al quale, come detto, aggiungerei solo una piccola postilla. È comprensibile che quei politici che, nel bacino dei lettori dello pseudo-giornale diretto da quel signore, hanno molti dei loro elettori, debbano prendere le distanze, ma senza delegittimare completamente l’autore dei suoni gutturali del Direttore. “Vota non olent”. Ma per gli altri non vale una siffatta giustificazione. Dià-logàre con l’anti-logos è un ossimoro. Non c’è nessuna “zona franca”, nessuna Svizzera neutrale in cui ci si possa incontrare.
E, se ci si incontra, vince sempre lui. La storia lo insegna ampiamente.

Francesco Lucrezi