Letture facoltative Il mito del cannibale
I cannibali? Sono gli altri. William E. Arens nel classico dell’antropologia Il mito del cannibale (Bollati Boringhieri) racconta di quando, facendo ricerca sul campo in Tanzania sul finire degli anni sessanta, si accorse che la maggior parte degli abitanti del luogo era convinta che gli occidentali si nutrissero di sangue umano. In modo analogo, molti europei e americani ritengono che l’antropofagia sia stata un codice culturale diffuso in molte grandi civiltà del passato e anche in alcuni gruppi umani isolati fino a non molti anni fa. La questione della presenza di cannibalismo rituale in specifici contesti è ancora discussa dagli antropologi, ma Arens nega decisamente che le testimonianze siano sufficienti a giustificare l’idea che uomini si siano nutriti di altri uomini in modo non occasionale per motivi alimentari o rituali. Lo studioso americano passa al setaccio le citazioni del fenomeno da Erodoto a Gibbon, dai frati nell’America spagnola del Cinquecento a non pochi testi di antropologia sulle società africane e guineane del Novecento. La sua conclusione è che il cannibalismo sia un mito che dice molto di chi lo ritiene valido, poco di coloro che vengono accusati di questa pratica, da tutti considerata riprovevole e per questo attribuita mai a se stessi, ma sempre agli incivili dello stato vicino, ai selvaggi del villaggio oltre la collina, agli stranieri che vivono ben distinti tra noi, come gli ebrei in Europa per molti secoli. Nella nostra e in molte altre culture, dice Arens, l’idea che i barbari siano oggi appena oltre i confini del nostro territorio o che siano esistiti qui da noi in passato, ma non certo adesso, ha una funzione consolatoria. Cannibali sono sempre gli altri.
Giorgio Berruto