“Lotta alla violenza sulle donne,
Not in my name un modello”

Conoscenza, creatività, condivisione. 
Sono le parole chiave che hanno caratterizzato la prima edizione di “Not in my name. Ebrei, Cattolici e Musulmani in campo contro la violenza sulle Donne”, il progetto promosso nelle scuole dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Religiosa Islamica Italiana e l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum sotto l’egida del Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Un percorso che, durante il passato anno scolastico, ha portato diversi gruppi di studenti romani, milanesi e torinesi di scuole secondarie di secondo grado a confronto, in modo dinamico e con la partecipazione di rappresentanti religiosi, formatori ed esperti, con questo tema. 
L’esperienza, nel suo intero svolgimento, è stata presa a modello nell’ambito del corso di formazione online “Culture contro la violenza di genere: un approccio transdisciplinare” avviato dall’Università La Sapienza di Roma. A ripercorrerla, in un intervento dedicato, l’assessore a Scuola, formazione e giovani UCEI Livia Ottolenghi.
“Un’esperienza molto bella, con partner molto interessanti” il suo giudizio su un’iniziativa che ha fatto della trasversalità e della collegialità uno dei punti di forza. “I tre monoteismi sono scesi in campo perché esistono ancora oggi pregiudizi, discriminazioni di genere. Problemi con cui le stesse religioni – ha detto Ottolenghi – si devono rapportare”. 
A caratterizzare il modulo formativo approntato, è stato poi sottolineato, “un approccio autocritico, volto a conoscere e a superare le proprie contraddizioni interne, nella consapevolezza che non sempre le comunità religiose, nel corso dei secoli, sono state ‘amiche delle donne'”. La sfida, assieme alle altre realtà coinvolte in “Not in my name”, comprese Fondazione Cdec, Adei Wizo e Accademia Studi Interreligiosi, è stata così quella “di proporre un messaggio positivo, utile per l’intera società, a partire dal nucleo fondante delle tre tradizioni religiose”. 
Una sfida articolata in diversi obiettivi: dalla promozione di un “contesto di elaborazione condivisa del tema” alla sensibilizzazione dei giovani su una questione che “coinvolge le loro relazioni quotidiane, il loro contesto sociale e culturale”; dall’offerta di “informazioni aggiornate e attendibili” a quella di strumenti conoscitivi “per favorire la formulazione di un punto di vista personale”. 
Tra i valori aggiunti di “Not in my name” spicca proprio l’approccio ampio e multidisciplinare, realizzato anche attraverso “i moduli conoscitivi, informativi e tecnico-pratici” che sono stati predisposti per gli studenti. Attività di ascolto, quindi. Ma anche e soprattutto di azione e creazione.
A conclusione del percorso tutti i partecipanti sono stati infatti protagonisti di un concorso volto alla realizzazione di una campagna di comunicazione innovativa. Alcuni progetti, particolarmente d’impatto, sono stati presentati anche agli studenti della Sapienza.

(27 settembre 2020)