Padova, uno storico Kippur

Nel maggio del 1943 una squadraccia in camicia nera dà fuoco alla Scola Grande Tedesca, la sinagoga cinquecentesca in cui dall’unificazione dei riti avvenuta nel tardo Ottocento pregano non solo gli ebrei ashkenaziti suoi iniziali frequentatori ma tutti gli ebrei di Padova. L’edificio va in fiamme ed è in larga parte devastato. Non tornerà più all’uso originario e sarà necessario un accurato restauro, diversi anni dopo, per riportare quegli spazi (che ospitano oggi il locale Museo ebraico) all’antica bellezza.
A 77 anni da quei fatti, nello Yom Kippur appena trascorso, l’ex Scola Tedesca è tornata all’uso di sinagoga. Per la prima volta da quella drammatica giornata che fu preambolo a ulteriori sofferenze e lutti. Una decisione dell’alto valore simbolico in linea con la strada intrapresa da altre Comunità in questo inedito periodo festivo alla prova del Covid. In un momento di generale chiusura, porte e portoni di edifici storici sono tornati ad aprirsi per garantire al maggior numero di persone possibile di seguire il rito. E al tempo stesso per lanciare un messaggio di continuità, di futuro.
“Dopo 77 anni abbiamo fatto riecheggiare in questa aula le poesie e le melodie delle nostre preghiere. Di questo vi sarò sempre grato” le parole di rav Adolfo Locci, rabbino capo di Padova, nell’ora di Ne’ilà.

La forza di reagire alle avversità

Oggi abbiamo celebrato il giorno di Kippur, il giorno in cui possiamo, attraverso una serie di proponimenti e di azioni concrete, cambiare il nostro destino. La forza purificatrice di questo giorno è dovuta dal fatto che lo abbiamo ricevuto per merito di Moshè rabbenu il quale, per la sua preghiera e intercessione in favore del popolo ebraico, ha ottenuto le seconde Tavole del Patto in sostituzione delle prime rotte a causa della colpa del vitello d’oro. Il popolo ebraico si unì, in quell’ultimo di quaranta giorni, al digiuno di Mosè (acqua non bevve e pane non mangiò) che con la sua azione fece acquisire a tutti il merito di essere, in questo sacro giorno, come gli Angeli del servizio divino.
Solo in questo giorno possiamo essere paragonati agli Angeli, nello Shema di Arvit e Shachrit abbiamo potuto recitare ad alta voce quella frase carpita agli Angeli proprio da Mosè, motivo per cui durante l’anno dobbiamo recitarla sottovoce: “Barukh Shem Kevod Malkhutò leolam vaed/Benedetto il nome del Suo glorioso regno per sempre, eternamente”. Stessa frase che il popolo gridava quando il Sommo Sacerdote, dopo aver recitato le tre confessioni dei peccati (per sé, per la casta sacerdotale e per tutto il popolo), ogni volta pronunciava il Nome ineffabile di Dio quale sigillo per l’espiazione. Grazie a Mosè abbiamo la possibilità di poter espiare le nostre colpe. Il “nostro maestro” avrebbe rinunciato all’offerta divina di salvarsi e iniziare la storia da capo se il Signore non avesse perdonato i figli d’Israele per il vitello d’ore. Mosè aveva scelto di seguire la stessa sorte dei suoi “allievi” e questa è una azione di una tale forza che, se imparata per bene, da a tutti la capacità di cambiare una sorte già scritta. La donazione gratuita di Mosè diventa per noi modello di comportamento: impariamo a dare del nostro al servizio della Comunità. Non si tratta solo del contributo economico, ma del contributo di partecipazione, condivisione, scambio e collaborazione per il mantenimento più a lungo possibile della nostra Comunità, la cui vita non dipende solo da un bilancio economico equilibrato ma soprattutto da una vita ebraica collettiva.
Con questa volontà di donarsi si può reagire anche alla prova di una epidemia che quotidianamente ci piega nei corpi e negli spiriti, ma è la luce di Mosè e i suoi insegnamenti che possono aiutarci ad andare avanti e fornirci il giusto sostegno per guardare al futuro con speranza.
In questo senso, oggi a Padova abbiamo vissuto un piccolo miracolo.
Per la prima volta, dopo circa 130 anni dall’unificazione del rito e dei Battè Hakeneset, nel giorno di Kippur 5781 sono stati aperti due luoghi di preghiera (la Scola italiana e la sala dell’ex Scola grande Tedesca ora Museo della Padova Ebraica). Hanno accolto, nelle tefilloth di Arvit e Neilà, quando si presenta la maggiore affluenza, circa 70 persone che nella sola Scola Italiana non sarebbero potute entrare per il rispetto delle norme anti-Covid. Oltre alla possibilità assicurata dai luoghi, la doppia apertura è stata possibile soprattutto grazie al contributo di volontari che mi hanno aiutato per lo svolgimento delle cinque tefilloth. Vorrei infine sottolineare un altro elemento di riflessione: Kippur e Sukkot sono state le ultime due feste celebrate nella Scola Grande Tedesca prima della sua distruzione a causa dell’attacco incendiario fascista del 5 maggio 1943. Oggi in questo luogo, proprio grazie a voi che avete aderito con la vostra partecipazione, dopo 77 anni abbiamo fatto riecheggiare in questa aula le poesie e le melodie delle nostre preghiere. Di questo vi sarò sempre grato. Nonostante la storia non sia stata sempre benevola nei nostri confronti, abbiamo sempre avuto la forza di reagire alle avversità e cambiare la nostra sorte. Questa è la forza che viene da questo giorno, garantita in una condizione di unità di popolo e di fiducia nell’Unico Creatore, che dobbiamo trattenere in noi per poterla canalizzare per la nostra vita ebraica durante il resto dell’anno che, auguro a tutti voi, sia portatore di benedizione, salute serenità e prosperità.

Chatimà Tovà vetizku leshanim rabbot/buon sigillo e siate meritevoli di molti anni!

Rav Adolfo Locci, rabbino capo di Padova

(Nelle immagini, dall’alto in basso, l’intervento del rav Locci al termine dello Yom Kippur; il rogo alla Scola Grande Tedesca del ’43; la Scola Italiana alla vigilia della solennità)

(29 settembre 2020)