Equivoci sul Bund

Non penso sia opportuno far passare il concetto che il Bund fosse un movimento socialista nazionale ebraico. Claudio Vercelli spiega, a proposito del Bund: “Rimane il fatto che la militanza in un partito territorialista ma non sionista costituisca il più originale contributo ebraico allo sviluppo del socialismo in Europa. In altre parole: sì al radicamento nelle terre di origine; rifiuto, invece, di un’ipotesi nazionale per la soluzione dei veri problemi degli ebrei, dall’antisemitismo all’assimilazionismo, nel nome semmai dell’«internazionalismo», ossia l’universalità del disagio dei lavoratori al quale si può dare un’unica risposta, collettiva, egalitaria, al medesimo tempo politica e morale, che coinvolga chiunque sia sfruttato” (L’ebraismo dell’Europa orientale e i regimi comunisti. Spunti di riflessione #2.)
Dal canto suo, Yitzhak “Antek” Zuckerman, combattente del ghetto di Vasavia, scrisse: “I must say that the official position of the Bund was the sharpest and silliest position opposed to Zionism. Their words and acts were not only against Zionism, but also against themselves. It was self-destruction, but they didn’t understand it. Most others had no choice, since they were Poles and Poland was their homeland ; but the Bundists could have been Bundists in any free place in the world , and they didn’t understand there wouldn’t be room for the Bund in Poland . Their whole war against Zionism, against our people, was anachronistic; and the same goes for their opposition to the exodus of the Jews” (A surplus of memory, Chronicle of the Warsaw Ghetto Uprising, University of CaliforniaPress, 1993, p. 652).
Beninteso, come abbiamo già scritto (Antisemitismo senza ebrei, Moked, 14.11.2017) i bundisti si sono battuti eroicamente nell’insurrezione del Ghetto di Varsavia, e meritano tutto il rispetto possibile e immaginabile, il che non toglie che, fosse stato per loro, Israele non esisterebbe. Omaggiarli è giusto, ed il migliore omaggio consiste nel riportare il loro pensiero e la loro azione in modo completo; per converso, non sarebbe giusto perpetuarne le gesta, perché un’ideologia che si richiama al marxismo ma che vuole mantenere dell’ebraismo la sola sovrastruttura (culturale) è una contraddizione vivente, e non è un caso che le poche isole in cui sopravvive tendano all’estinzione anche oggi. Personalmente, rammento quando in occasione della Guerra dei Sei Giorni, nel 1967, feci adottare una risoluzione a favore d’Israele nel Centro de Estudiantes de Derecho di Montevideo, risoluzione poi ripudiata con l’appoggio del Bund locale (l’ICUF).
Poiché talvolta percepisco l’esistenza di segnali contrastanti o comunque diversi nei riguardi del Bund, ritengo indispensabile approfondire il concetto. Per esempio, una recente monografia sul Bund menziona la parola sionismo una sola volta, come se l’antisionismo del Bund fosse di non immediata rilevanza.; in questo senso, il titolo della commedia di Eduardo De Filippo “Gli esami non finiscono mai” meriterebbe di uscire dal suo solco primigenio, incanalandola nell’ambito della c.d. educazione permanente, arricchendola di amichevoli e continui dibattiti, continui quanto le generazioni che si avvicendano sul palcoscenico dell’esistenza.

Emanuele Calò, giurista

(29 settembre 2020)