Populismo, crisi o trasformazione?

Il populismo è in crisi? Se ne parla sui giornali di questi giorni ed è una domanda lecita, alla luce del voto regionale e comunale del 20-21 settembre, che ha visto una débacle totale dei Cinquestelle e un rallentamento complessivo della prepotente avanzata leghista. In realtà si tratta per ora solo di una tendenza, sono segnali di indirizzo e non un andamento univoco e coerente. Occorre dunque analizzare la questione prima di arrivare a troppo facili (e ottimistiche) previsioni e di cantare il de profundis per i movimenti populisti.
Certo, nell’atteggiamento popolare si avverte un cambiamento. Pare diminuito a livello di massa l’impulso a farsi trascinare da facili richiami demagogici verso la protesta accesa contro bersagli prefissati e strategici (come per esempio gli immigrati o le minoranze emarginate). Ciò è forse un effetto – inopinatamente positivo – dello tsunami Covid-19 che ci ha improvvisamente investito colpendoci così duramente. Avere come compagni di viaggio la malattia circolante ed estesa, la morte nei reparti ospedalieri di isolamento, il baratro economico e la perdita diffusa del lavoro ha portato a dare centralità a ciò che colpisce di fatto o potenzialmente tutti; c’ è meno spazio per il violento sfogo di rabbia contro i capri espiatori e ad emergere è la drammatica concretezza delle carenze reali di oggi.
Ma l’immagine positiva di una società che sembra migliorare nelle sue condizioni patologiche è condizione sufficiente per considerare in via di dissoluzione la propulsione populista? Per andare oltre ogni troppo facile illusione basta fare attenzione alla realtà politica di questi giorni e cogliere alcuni aspetti rivelatori.

1. È appena stato approvato a larghissima maggioranza il più demagogico dei referendum. È appena stata sancita dal voto popolare una legge che coltiva la falsa convinzione di eliminare il privilegio vero o presunto dei parlamentari non abolendo alcune condizioni di quel privilegio bensì riducendo con l’accetta il numero dei privilegiati; che pretende di far risparmiare le casse dello Stato mentre in realtà risparmia all’erario solo una tazzina di caffè all’anno; che riduce di fatto il diritto di rappresentanza di molte realtà locali imponendo – e questa è la conseguenza più grave del provvedimento – una visione populista della politica e dello Stato fondata sulla convinzione che la democrazia rappresentativa (alla base del nostro sistema costituzionale) vada drasticamente potata nei suoi rami per lasciare spazio alle espressioni dirette e semplificate della volontà popolare, quale appunto questo referendum, populista più che popolare.

2. Come l’esito del referendum dimostra, la pseudo-cultura di cui il taglio dei parlamentari è figlio è ben presente e diffusa, ha anzi prevalso in alcuni aspetti della nostra vita politica, ha occupato gli spazi ideologici e progettuali di altre formazioni originariamente non populiste.

3. In realtà dunque non solo il populismo non è morto o in crisi, ma ha pervaso la scena politica (e sociale) generale. Forse sono in crisi o in difficoltà i movimenti populisti, ma la politica e la società sono ormai irrimediabilmente “contagiate” dal populismo. Il clima in cui viviamo, di fatto, è purtroppo populista da tempo.

4. Cosa più inquietante di tutte, lo stesso fondatore del Movimento Cinquestelle – quel Beppe Grillo che da tempo ha purtroppo abbandonato la sua professione di comico per trasformarsi in grillo parlante – inopportunamente invitato ad un dibattito on line dal Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli ha criticato la democrazia rappresentativa o parlamentare (e dunque l’ essenza stessa della nostra Costituzione) ergendosi a paladino della cosiddetta democrazia diretta dei referendum (quella dei Soviet, per intenderci). Il padre del Movimento ha confermato, in un momento in cui è necessario ai Cinquestelle ritrovare la propria identità, l’imprescindibile vocazione populista e demagogica dello stesso, secondo la quale “loro e solo loro” sono i figli e gli artefici della Rivoluzione, i giustizialisti che non sbagliano e che da veri giacobini esigono a furor di popolo le teste della casta. Peccato che – dopo anni di governo e di maggioranza pentastellata – la nuova casta siano ormai loro stessi!

5. Passando alla destra dello schieramento politico, non possiamo certo dire che la Lega (faccia sovranista del populismo) sia in via di disfacimento, anche se certo essa evidenzia qualche problema e il suo leader appare in difficoltà per la scarsa tenuta del progetto di estensione al sud di un partito la cui matrice originaria era etnico-nordista. Lo strabordante successo di Luca Zaia in Veneto propone in realtà un altro modello (più concreto e costruttivo) di populismo, quello di chi si mostra vicino al popolo degli elettori amministrando con serietà il territorio e non sommergendoli di discorsi. Al di là dell’incertezza sulla leadership di Salvini, dunque, il Carroccio non è sul viale del tramonto ma sta intraprendendo un percorso di trasformazione destinato probabilmente al successo.

6. Accanto alla Lega, gli eredi del fascismo cioè Fratelli d’Italia (l’altra versione del populismo sovranista) aumentano la loro forza conquistando le Marche, regione tradizionalmente di sinistra. Giorgia Meloni – espressione di una cultura popolare romana di destra con i piedi per terra, meno arrogante e sbruffona del Capitano – si profila come nuova possibile guida del centrodestra.

7. Infine la politica come ricerca e coltivazione (o culto?) del leader – uno degli elementi identificatori della visione populista del mondo – non appare in ribasso, anzi si rafforza sia a destra che a sinistra (ci sono Zaia e Toti, ma anche De Luca ed Emiliano). La crescita della dipendenza dal vertice e del bisogno del Capo sono il prodotto dei mesi più drammatici del Coronavirus; in termini elettorali, ciò si è tradotto in un vistoso premio degli elettori a chi li ha aiutati e protetti – spesso con lodevoli capacità amministrative e vero altruismo – in quei giorni terribili. Ma certo anche questo modo di vivere e di gestire – dall’alto come dal basso – la situazione politica è espressione di una permanenza, anzi ormai di un radicamento del populismo.

Tutto ciò, in conclusione, non racconta il tramonto del populismo. Forse narra una trasformazione dei suoi propugnatori diretti. In realtà, come sostiene Antonio Scurati, segnala lo sviluppo della sua alba. Come reagire dunque alle sue mutazioni? Non certo stando alla finestra ad aspettare fiduciosi la sua morte solo perché le sue forze sembrano in crisi. Per dare nuova forza e possibilità alla democrazia parlamentare, anche dopo il colpo di mannaia del referendum del 20-21 settembre, sarebbe invece importante dare nuova vitalità alle Camere superando la loro assoluta identità di funzioni e andando oltre il bicameralismo perfetto; così come sarebbe essenziale non trasformare ora i carismatici governatori regionali di destra e di sinistra in “uomini della provvidenza” magari avvantaggiati da poteri politici speciali, legandoli invece per la durata del mandato alla concretezza tutta amministrativa del loro ruolo locale.
David Sorani

(29 settembre 2020)