L’incubo del leader

È cosa nota: la Cina difetta di quello che in geopolitica si chiama soft power, la capacità di rendere attrattivo il proprio modello sociale. Ci hanno provato negli ultimi anni con film da blockbuster creati ad uso e consumo dell’immaginario occidentale, con varie tecniche di maquillage politico, persino durante questa pandemia in cui hanno inviato attrezzature (non sempre di prima scelta, per usare un eufemismo) e personale sanitario per far dimenticare di essere stati coloro da cui tutto è partito. Lo sforzo, però, appare titanico perché è molto difficile far piacere un sistema che per definizione restringe le libertà. Termine che ha la forza di essere inteso da ciascuno come meglio crede, quindi di essere vendibile a tutti. Il gigante asiatico ha quindi bisogno di aiuto e noi siamo evidentemente ben pronti a dargli una mano. Il primo confronto fra Biden e Trump andato in onda nella notte si è tradotto nell’ennesima rissa da bar a suon di insulti. Ora manca il cazzotto in faccia per completare l’opera e mostrare definitivamente che la democrazia è un sistema debole e tendenzialmente anarchico in cui il bene comune è sacrificato al gioco delle parti. Basta, del resto, vedere quanto i conflitti politici abbiano favorito la diffusione del virus nei Paesi occidentali, impedendo la costruzione di politiche coordinate. Insomma, disordine su disordine. “Ho paura che moriremo con l’incubo del leader, del genio”, diceva già Giorgio Gaber nel 1973 constatando la crisi che già avvolgeva i sistemi democratici. Nel 2020 sembra che le premesse siano ormai poste definitivamente.

Davide Assael