Letture facoltative
Il Qohelet di Ceronetti

Un accanito corpo a corpo durato decenni, dagli anni cinquanta del Novecento fino al 2001. Si possono riassumere così i molti tentativi di traduzione di Qohélet tentate da Guido Ceronetti, di cui Adelphi ha pubblicato negli anni le versioni bibliche. Di Qohélet, testo strano sulla precarietà della vita e dei beni umani, è tradizione dare lettura in molte sinagoghe nei giorni di Sukkot, la festa delle capanne che ricorda l’esistenza precaria (nel deserto, nei deserti) ma anche “tempo della nostra gioia”. Nell’introduzione al volume Adelphi Ceronetti ricorda il primo incontro con Qohélet nel 1955 “in un’auletta deserta della sinagoga torinese, tra alquanta diffidenza iniziale del vicerabbino David Della Pergola […] e la simpatia e l’incoraggiamento del giovane e tormentato devoto, anche lui oggi coi padri, Isacco Levi”. Ma il preambolo di Ceronetti al testo della meghillà è anche e soprattutto un saggio sulla traduzione, cioè sul traducibile e l’intraducibile. Tradurre, che è innanzitutto tradire, è l’unico strumento per restituire ai testi gravati dal tempo una voce (rinunciando una volta per tutte all’illusione consolatoria che sia “la” voce): e questo vale tanto di più nel caso di Qohélet, colui che prende la parola.

Giorgio Berruto

(1 ottobre 2020)