Spuntino – Capanne in libertà
Nella Torà non c’è evidenza che l’attraversamento del deserto avvenne risiedendo in “sukkot” (capanne). Piuttosto in molti passaggi si parla dell’uso di “ohalim” (tende). Sukkot è il nome della prima località raggiunta — partendo da Ra’mses — dal popolo di Israele uscito dall’Egitto (Es. 12:38). Perché questa tappa è così importante da meritare di essere celebrata con una delle tre ricorrenze centrali del lunario ebraico, com’è scritto “in capanne risiederete per sette giorni” (Lev. 23:42)? Il fatto che gli ebrei si fermarono in un luogo chiamato Sukkot è concatenato, anche nel primo versetto succitato, con la miracolosa uscita dall’Egitto. È a Sukkot che il popolo si ferma a cuocere e mangiare il pane azzimo che non fece in tempo a lievitare. Inoltre, sempre dal Testo, si può capire che in quel luogo c’erano delle capanne. Dunque si tratta della prima occasione che gli ebrei hanno per adagiarsi dopo un precipitoso e rocambolesco esodo e cominciare ad elaborare sulla loro nuova condizione emotiva e spirituale dopo 430 anni trascorsi in esilio, assaporando finalmente la libertà appena conquistata. In questo contesto diventa più chiaro il precetto di risiedere nelle capanne 24/7 “affinché le vostre generazioni sappiano che ho fatto accomodare i figli di Israele nelle capanne quando li ho estratti dalla terra d’Egitto, Io sono il Signore vostro D-o” (Lev. 23:43). Sia l’estrazione che l’accomodamento sono opera divina ma il secondo evento concede finalmente al popolo un momento di presa di coscienza a livello umano dopo un trasferimento avvenuto su un’altra dimensione. I due accadimenti trovano espressione, rispettivamente, nelle ricorrenze di Pesach e Sukkot ma la seconda é caratterizzata da un rilassamento introspettivo svincolato dalle circostanze storiche e, non a caso, si colloca nel calendario solo sei mesi dopo. Anche nel Testo la narrazione legata alla prima sosta nel deserto a Sukkot é praticamente inesistente e questo non fa che rafforzare il richiamo all’intimità nascosta che contraddistingue la festività che ne prende il nome. Mentre Pesach è segnata da ciò che si può o deve mangiare, il precetto centrale di Sukkot non comporta azioni particolari o cerimonialità se non la permanenza, svegli o dormienti, nelle capanne. A Pesach ricordiamo un evento storico, a Sukkot prendiamo coscienza abitando in una dimora temporanea protetta solo dalla provvidenza per riflettere sulla nostra condizione, dopo aver fatto un bilancio dell’anno appena concluso, cercando di cogliere l’intervento divino nelle nostre vite.
Raphael Barki
(1 ottobre 2020)