I leader e le teste degli elettori
Non è una novità, i leader cosiddetti populisti anche quando si trovano al governo, non riescono mai a condannare apertamente i fanatismi e le frange estreme. Il perché è semplice, non possono correre il rischio di perdere dei potenziali elettori. Non è importante se Donald Trump conoscesse o meno i “Proud Boys”. Significativo è invece che i “Proud Boys” amino Donald Trump e trovino in lui un leader modello. Se al loro posto ci fossero stati gli “ANTIFA” o anche un gruppuscolo salafita non avrebbe fatto grande differenza. Il populismo segue gli elettori e le tendenze del momento. In un altro tempo o in un altro contesto Trump e i suoi simili avrebbero potuto essere tranquillamente democratici – e difatti Donald lo fu -, socialisti, liberali o ambientalisti. Tutto è certo incoerente e poco responsabile, sia politicamente che eticamente, ma è anche lontano dalle ideologie del secolo scorso con le quali spesso si cerca di interpretare questi personaggi. Un leader populista può andare tranquillamente allo Yad Vashem e poi al ritorno in patria strizzare l’occhio e esortare allo “state pronti” chi sostiene che “nella Shoah non morirono sei milioni di ebrei”. Può poi affermare pubblicamente “che la bandiera nazionale non è per lui rappresentativa” e qualche anno dopo eleggerla a simbolo principale della propria piattaforma. O dare un’impronta secolarista e anti-clericale al proprio partito, per poi trasformarlo poco dopo a difensore delle “radici cristiane”.
Quest’epoca insegna che più che i leader, dovremmo sensibilizzare le teste degli elettori così immemori della storia passata, e che i leader, Trump in primis, non dovrebbero mai essere presi con troppa serietà. Un po’ come dei pagliacci in un circo, purtroppo la differenza è che chi guarda non è più soltanto un semplice spettatore.
Francesco Moises Bassano