Il canto dell’esule
È straordinario il progetto elaborato dal Dipartimento di Musica Antica del Conservatorio “G. Verdi” di Torino (una sezione di eccellenza all’interno di un’assoluta eccellenza subalpina): eseguire gli Hashirim Asher li-Shlomo di Salomone Rossi – trentatré salmi, inni e canti sinagogali a 3-8 voci, primo esempio di polifonia su testi ebraici – nelle antiche sinagoghe o comunque nei luoghi ebraici del Piemonte. Un modo per restituire alla sua destinazione naturale un patrimonio di grande valore musicale e spirituale, opera di una delle più alte e produttive personalità creatrici dell’ebraismo rinascimentale italiano. Una via, anche, per documentare e realizzare nuovamente di fatto un incontro tra culture differenti capaci di integrarsi: il Tanakh e in particolare i Tehillim da un lato, l’arte polifonica occidentale dall’altro. Un programma che sinora, anche per effetto della sospensione e poi del rallentamento di ogni attività concertistica a causa del coronavirus, non ha potuto essere realizzato, ma che vedrà auspicabilmente la sua concretizzazione nei prossimi mesi.
In attesa di tempi migliori, intanto, perché rimanga il peso di una concreta produzione artistica la professoressa Sabina Colonna-Preti – docente di viola da gamba al Conservatorio torinese, concertista e anima di questo percorso – ha predisposto insieme al Dipartimento di Musica Antica e alla Cappella della Misericordia – la registrazione del disco “Il canto dell’esule”, dedicato alle musiche ebraiche di Salomone Rossi. Il CD, prodotto grazie anche alle competenze tecniche di allievi del Conservatorio Verdi, è in corso di registrazione e giovedì 1° ottobre è stato presentato al pubblico insieme all’intero progetto-Salomone Rossi con un concerto di rara pregevolezza ospitato nella Chiesa torinese della Misericordia.
I giovani musicisti (un complesso di cantanti e strumentisti nato dalla fusione tra il Dipartimento di Musica Antica del Conservatorio e la Cappella della Misericordia) hanno dato prova di grande maturità stilistica, improntando l’esecuzione al registro di una profondità di accenti priva di eccessi retorici e coniugata con l’eleganza e la compostezza del linguaggio musicale cinque-seicentesco. Direttore del complesso strumentale-vocale era il primo violino Margherita Populin, che è riuscita nel non facile compito di individuare il giusto equilibrio timbrico e dinamico dalla fusione delle sonorità degli strumenti antichi, permettendo così innanzitutto ai musicisti stessi e poi al pubblico presente di calarsi nell’atmosfera “riservata” e non facile della musica di corte.
Musica di corte possiamo definirla, se pensiamo all’ambiente della sua composizione (la corte ducale dei Gonzaga a Mantova, della quale Salomone Rossi era al servizio) e al clima sonoro complessivo. Ma ben altra è la sua natura e il suo significato di fondo, tutto di matrice ebraica: accanto ai Salmi, una Berachà a tre voci e un Cantico a otto voci; e tra essi alcune Sinfonie strumentali a più parti, dove il termine “sinfonia” designa certo solo il suonare insieme di più strumenti senza la voce umana e non la moderna e complessa composizione orchestrale in più movimenti. Un’intensità emotiva particolare si coglieva nell’esecuzione del Salmo 128 a cinque voci e del Cantico a otto voci, dove il virtuosismo contrappuntistico non appare esibizionistico e fine a se stesso ma tutto proiettato nella ricerca dell’espressività degli accenti e dei sentimenti. Si avverte insomma, anche in queste composizioni di carattere ebraico, l’esperto e versatile autore di madrigali e di canzonette che la pratica esecutiva del tempo richiedeva; i cosiddetti “madrigalismi” di cui esse sono intessute – cioè i raffinati riferimenti evocativi delle sonorità al testo poetico che viene musicato – rivelano il contatto con il fior fiore della polifonia italiana e non solo (dalla fine del Cinquecento, fra l’altro, anche Claudio Monteverdi operava alla corte dei Gonzaga). Lo stile madrigalistisco è qui tuttavia impiegato in un senso meno intimistico e più corale, meno legato alle psicologie individuali e più impregnato di spiritualità religiosa.
La pubblicazione degli Hashirim Asher li-Shlomo è del 1623, quando ormai da molti anni Salomone Rossi, nato a Mantova nel 1570 e membro della numerosa comunità ebraica locale, svolgeva un importante servizio di musico presso i Duchi di Mantova. Un ruolo che era certo riconosciuto e apprezzato, come dimostra la sua continuità, ma che non gli permetteva in quanto ebreo (Salomone Rossi Hebreo era il nome con cui firmava le sue composizioni) di assurgere a fama più esclusiva e a onorari adeguati al suo valore: i suoi compensi erano spesso inferiori a quelli di vari musici che componevano il complesso strumentale da lui stesso diretto presso la corte e che spesso si esibiva anche in trasferta. La sua qualifica di artista riconosciuto con una funzione significativa in un ambiente di rilievo gli permise certo di raggiungere una basilare sicurezza e di evitare isolamento e persecuzioni; non lo metteva però al sicuro da determinate emarginazioni allora inevitabili per la minoranza ebraica. Di Salomone si perdono le tracce dalla fine degli anni Venti del XVII secolo. E’ possibile che sia morto nel 1630 durante la terribile epidemia di peste di quel periodo.
Il progetto di esecuzione mirata delle composizioni ebraiche di Rossi nei luoghi del Piemonte ebraico, che speriamo vivamente possa realizzarsi anche attraverso l’impegno diretto della Comunità ebraiche piemontesi, non sarebbe solo utile alla riscoperta di un patrimonio musicale di indubbio valore; servirebbe anche a incrementare l’interesse generale, già da tempo in espansione, per i siti ebraici e per le vicende della collettività ebraica italiana nella prima età moderna.
David Sorani
(6 ottobre 2020)