L’emozione del virologo Premio Nobel
“Figlio unico di una famiglia ebraica,
dovevo per forza fare il medico”

“La miglior sveglia ascoltata in vita mia. Per due volte ho ignorato la chiamata. Ho poi risposto, con un certo fastidio. Ma è passato un istante dopo”. Harvey James Alter racconta così la telefonata ricevuta alle 4.45 americane da Stoccolma. All’altro capo la giuria del Premio Nobel per la medicina che gli comunicava la vittoria, in coabitazione con i colleghi Michael Houghton e Charles M. Rice, per gli studi da loro svolti che hanno portato alla scoperta del virus dell’epatite C. Una scoperta che, ha sottolineato la Fondazione Nobel nella motivazione ufficiale, “ha rivelato la causa di molti casi di epatite la cui origine non era ancora stata scoperta, aprendo la via alla possibilità di fare diagnosi attraverso l’analisi del sangue e mettere a punto farmaci che hanno salvato milioni di vite”. 
Una strada aperta proprio da Alter, nato nel 1935 in una famiglia ebraica newyorkese e formatosi all’Università di Rochester, con alcune ricerche compiute negli Anni Settanta presso il National Institutes of Health. Una intuizione che ha portato alla composizione di vari tasselli. “Prima del loro lavoro – ricorda l’Accademia di Svezia – la scoperta dei virus dell’epatite A e B era stata un passo avanti fondamentale, ma la maggior parte dei casi di epatite trasmessa per via ematica era rimasta inspiegabile”. Milioni le vite salvate grazie al lavoro dei tre virologi. 
Il Nobel rappresenta anche nel caso di Alter il riconoscimento a una vita di impegno per la scienza, particolarmente simbolico nell’anno in cui il mondo intero combatte contro un nuovo, terribile virus. In un articolo autoironico pubblicato nel 2013 e citato in queste ore da alcuni media americani, Alter scherza: “Essendo l’unico figlio di genitori ebrei a New York City, era predeterminato che sarei diventato un medico. Uno dei miei amici, dallo stesso background, ha scelto una strada diversa. Non se ne è saputo più niente”. 

(6 ottobre 2020)