Carabinieri deportati,
il ricordo della ferita

Cade in queste ore l’anniversario della deportazione dei carabinieri romani nei campi di concentramento nazisti. Era il 7 ottobre del 1943. Poco più di una settimana dopo le SS avrebbero dato avvio al rastrellamento della popolazione ebraica della Capitale. La drammatica alba del 16 ottobre. Convinzione dei tedeschi è che l’Arma si sarebbe potuta rivelare un intralcio significativo nei suoi propositi di cattura e annientamento. E così, con la complicità del maresciallo Graziani, procedettero alla cattura. Oltre duemila carabinieri furono arrestati e deportati. Centinaia di loro non fecero ritorno.
In ricordo di quanto avvenuto si è svolta oggi una solenne commemorazione presso la sede del Comando Scuola Allievi Carabinieri. A testimoniare la vicinanza dell’ebraismo italiano e romano la presidente UCEI Noemi Di Segni, la presidente della Comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello e il rabbino capo rav Riccardo Di Segni.
Al centro una vicenda spesso rimasta a margine dell’indagine storiografica, eppure tra le più rilevanti per affrontare quel periodo. Lo ricordava appena un paio di giorni fa, su questi notiziari, la storica Anna Foa: “L’ordine di disarmo, preludio alla deportazione, datato 6 ottobre, era firmato dal Maresciallo Graziani, lo stesso criminale di guerra fascista a cui il comune di Affile ha eretto qualche anno fa un mausoleo, invano contestato dalla Regione Lazio e avallato dalla Corte di Cassazione. Lo stesso Maresciallo Graziani, autore di stragi inenarrabili in Libia e in Etiopia, ministro della guerra di Salò, condannato a 19 anni, che non scontò, per collaborazionismo nel dopoguerra, quel Graziani che fu inserito fra i criminali di guerra dalle Nazioni Unite ma di cui l’Italia negò l’estradizione”.
Una pagina oscura. Una delle tante con cui il Paese è ancora chiamato a confrontarsi con la necessaria lucidità e consapevolezza.

(7 ottobre 2020)