Donald o Joe, l’orientamento
del voto ebraico per la Casa Bianca

Non è un segreto che alle urne la larga maggioranza degli ebrei americani vota democratico. L’unico momento storico negli ultimi 50 anni in cui un candidato repubblicano ottenne quasi la stessa percentuale di voti rispetto all’avversario dem fu nel 1980. Allora Ronald Reagan sfidava il presidente uscente Jimmy Carter. L’elettorato americano votò in massa Reagan e bocciò Carter, che poi perse. Gli ebrei furono leggermente più clementi votando comunque più democratico che repubblicano, ma di poco. E questo nonostante Carter avesse facilitato l’importantissimo accordo di pace tra Egitto e Israele. Una svolta storica per l’area ma, vista la recessione economica e la disastrosa gestione della crisi degli ostaggi del 1979 a Teheran, Carter non riuscì a fare veramente breccia negli elettori ebrei. Una lezione valida oggi, seppur a parti invertite, per il Presidente uscente Donald Trump. Dopo aver spostato l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme, riconosciuto la sovranità di Israele sulle alture del Golan, aiutato – in particolare grazie al genero Jared Kushner – a siglare gli accordi di normalizzazione dei rapporti tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein, ci si poteva aspettare un significativo cambio di orientamento nell’elettorato ebraico americano. E invece secondo i sondaggi il 69% degli ebrei a stelle e strisce voterà per Biden mentre il 30% per Trump. Lo riporta un sondaggio dell’ente no-profit Jewish Electorate Institute, realizzato alcune settimane fa, che è andato ad indagare cosa pensa il mondo ebraico americano dei due candidati. “Gli intervistati hanno classificato Biden come migliore nel gestire una serie di questioni, tra cui l’antisemitismo e l’ascesa del nazionalismo bianco, 67 a 26; la pandemia del coronavirus, 66-24; la sicurezza della comunità ebraica, 55-29; e le relazioni Usa-Israele, 46-32”, riferisce l’agenzia di stampa ebraica Jta. Quindi Trump, nonostante i grandi sforzi nei confronti d’Israele, non è riuscito a spostare il voto a suo favore, almeno non all’interno dell’elettorato ebraico in generale. A penalizzarlo il fatto che, almeno secondo il sondaggio, l’ebraismo americano ha priorità diverse: la prima è l’economia (valutata come “importante” o “molto importante” dal 92% degli intervistati), poi l’assistenza sanitaria (91%), la crisi del coronavirus (90%) e l’antisemitismo (82%). Israele, invece, è in fondo alla lista, con solo il 64 per cento degli intervistati che lo classifica come importante e solo il 25 per cento come “molto importante”. Negli ultimi anni altri sondaggi sull’opinione pubblica ebraica americana hanno mostrato una tendenza simile: i membri della comunità votano in gran parte guardando alle priorità nazionali, non alla politica estera. Allo stesso tempo, però, l’88 per cento degli intervistati nel sondaggio del Jewish Electorate Institute afferma di definirsi “pro-Israele” seppur senza spiegare cosa significhi effettivamente il termine. “Questo sondaggio conferma una cosa: non c’è niente che Donald Trump o i repubblicani possano fare per muovere l’ago della bilancia rispetto agli elettori ebrei”, ha commentato Halie Soifer, direttore esecutivo del Consiglio Democratico Ebraico d’America. “La politica di Donald Trump nei confronti di Israele, compreso l’accordo con gli Emirati Arabi Uniti, non ha convinto nessun elettore ebreo a sostenerlo. Il voto degli ebrei è effettivamente bloccato a sostegno di Joe Biden, di cui, nel confronto con Trump, si fidano di più rispetto a ogni questione, compreso Israele”. Questo è vero ma ci sono delle differenze all’interno del mondo ebraico americano: se la stragrande maggioranza della corrente reform e conservative vota democratico, tra gli ortodossi nel 2016 l’American Jewish Committee ha riscontrato invece che una maggioranza (il 54%) ha votato Trump. In un’ampio articolo della Jta dedicato proprio al voto nel mondo ortodosso – con le sue differenze interne tra modern-orthodox, haredi, e così via – si spiega come su questa realtà abbia si inciso l’atteggiamento delle amministrazioni nei confronti di Israele. La stragrande maggioranza votò Bill Clinton, considerato vicino agli interessi d’Israele, e prima ancora molti contestarono Bush padre per la sua severità nei confronti dello Stato ebraico. Il cambio di orientamento arrivò con Bush figlio e la guerra al terrorismo. Il mondo ortodosso cominciò a vedere nei repubblicani un partner più affidabile per la difesa d’Israele, fino ad arrivare a Trump e alle sue scelte controcorrente in materia diplomatica. Il problema del presidente sono i suoi atteggiamenti in politica interna, dalle ambiguità sul suprematismo bianco alle diverse gaffe. L’ultima proprio prima di Rosh HaShanah. Durante una conference call per celebrare le imminenti festività, Trump ha detto ai leader ebraici americani: “Vi apprezziamo molto, amiamo anche il vostro Paese e vi ringraziamo molto”. Apparentemente identificano gli ebrei americani come israeliani. Non è la prima volta che accade, ma queste gaffe non sembrano incidere sulle decisioni di voto. Da una parte o dall’altra gli ebrei americani hanno chiare in mente le loro priorità e su queste fonderanno la scelta tra Joe o Donald.

Pagine Ebraiche, dossier “Usa verso le elezioni”

(7 ottobre 2020)