Dentro e fuori, gli ebrei italiani
dai ghetti all’Emancipazione

L’appuntamento è per il 4 marzo 2021 al Museo nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara. La prossima primavera infatti, emergenza sanitaria permettendo, sarà inaugurata la mostra “Oltre il ghetto. Dentro & Fuori”. Un appuntamento molto atteso, che rappresenta la terza puntata del percorso del Meis nel raccontare la storia degli ebrei d’Italia. “Dopo la mostra sui primi mille anni inaugurata nel 2017, abbiamo proseguito nel 2019 con il ‘Rinascimento parla ebraico’ e ora avremo una mostra di straordinario fascino dedicata agli ebrei chiusi nei ghetti, che poi finalmente raggiungono l’indipendenza, sentendosi quindi italiani più e come gli altri, partecipando attivamente alle guerre risorgimentali”, ha spiegato il presidente del Meis Dario Disegni, in occasione della presentazione del catalogo della mostra “Oltre il ghetto. Dentro & Fuori” durante la Festa del libro ebraico. Una presentazione in cui sono intervenute le curatrici della mostra Andreina Contessa, Simonetta Della Seta, Carlotta Ferrara degli Uberti e Sharon Reichel, in dialogo con il direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt. “Il fatto che il catalogo anticipi la mostra è un elemento positivo – ha sottolineato Schmidt nel suo intervento – e in qualche maniera riflette l’importanza proprio del libro nella cultura ebraica”. Due le opere che proprio gli Uffizi presteranno al Meis per la grande mostra della prossima primavera: Interno di Sinagoga, di Alessandro Magnasco (1703) e Battaglia del Volturno, di Giovanni Fattori, del 1899. Quest’ultimo in particolare rappresenta l’idea di come gli ebrei parteciparono ai moti risorgimentali in quanto profondamente italiani. “Questo quadro fa parte di una collezione non fiorentina, non toscana, né tantomeno ebraica. Fa parte di qualcosa di più grande, sovraregionale, italiano. Come a indicare un’Italia unica, unita. E gli ebrei facevano parte dell’Italia unita in quanto prima italiani e poi ebrei. – ha sottolineato Schmidt in un’intervista a margine della presentazione – Ed è per questo che la mostra al Meis deve essere per tutti, non solo per gli ebrei. In questo senso, sono felice che il catalogo sia uscito prima della mostra: così tutti possono informarsi ed essere più preparati”. Il catalogo rappresenta infatti un’approfondita spiegazione non solo degli oggetti in mostra, del perché della loro presenza, ma soprattutto del significato per gli ebrei di essere passati dalle vessazioni dei ghetti all’Emancipazione. Il volume e i suoi diversi saggi sono “un approfondimento della mostra ma vanno anche al di là della mostra – ha spiegato Andreina Contessa, direttore del Museo Storico e il Parco del Castello di Miramare e autrice del primo saggio “Il perenne e l’effimero. Cultura materiale e produzione artistica all’epoca dei ghetti” – Cercano di rispondere di rispondere a delle domande molto difficili e cioè se e in quale misura la permanenza per quasi tre secoli degli ebrei italiani nei ghetti abbia influenzato l’essenza della cultura ebraica”. Un luogo di costrizione, di marginalizzazione, sottolinea Contessa, ma al contempo uno spazio in cui gli ebrei – pur nella costrizione – diedero vita “a una grandissima fioritura ed effervescenza culturale”. “C’è una estrema ricchezza di produzione materiale negli arredi, nella ricchezza delle sinagoghe, nell’arte”, l’analisi della direttrice del Castello di Miramare, che parla di un rapporto ambivalente del mondo ebraico rispetto ai ghetti. Privi di potere politico, strategicamente messi ai margini – come ha rilevato anche Schimdt, la storia ebraica dai ghetti all’Emancipazione è una storia di gestione del potere e di rapporto maggioranza-minoranza -, gli ebrei nonostante tutto riescono a far fiorire la propria cultura. E le proprie sinagoghe. “In questo periodo le sinagoghe sono celate alla vista del grande pubblico proprio perché le leggi non permettevano un’espressione completa dell’identità ebraica, anche all’interno del ghetto – ha spiegato Sharon Reichel, autrice del saggio “’Sappi davanti a chi tu stai’: La sinagoga dall’età dei ghetti all’Emancipazione’” – Qui a Ferrara per esempio chi passa oggi da via Mazzini magari riconosce la sinagoga perché può vedere le due lapidi ai lati. Ma quelle lapidi sappiamo essere di molto posteriori e quel quell’edificio non è riconoscibile in realtà come luogo di culto”. Le restrizioni esterne, ha aggiunto Reichel, si trasformano però in “una grande forza che si sprigiona all’interno, perché se si entra si vede che cos’è questo mondo: che è luce, che è colore, che sono oggetti, che è vita”. Una vita dentro i ghetti dunque più nascosta, che poi diventa pubblica in modo dirompente con l’Emancipazione e la libertà. E proprio le sinagoghe sono l’emblema di questo passaggio: da nascoste e invisibili, a opere architettoniche di grande presenza, che da Torino a Roma esprimono il desiderio degli ebrei di rappresentarsi e far parte della società italiana. Su questo periodo si è soffermata Carlotta Ferrara degli Uberti, autrice del saggio “Ebrei cittadini”, invitando a pensare all’Emancipazione come un complesso di elementi e non come a una data specifica. “Si tratta se di un processo in cui l’iniziativa viene dal potere, viene dall’alto però in realtà gli ebrei non sono solamente soggetti passivi. C’è un impegno comunque dal basso a vari livelli per essere partecipi di questa emancipazione. E non solamente dopo che è stata concessa ma anche prima che venga concessa”, ha evidenziato Ferrara degli Uberti, richiamando poi il titolo della mostra, “Dentro e fuori”. “Con l’emancipazione sicuramente c’è un’apertura, siamo nel fuori, non siamo più nel ghetto. Vengono abbattute le sue porte. Ma il dentro resta. Questa dialettica fra dentro e fuori in realtà resta e viene riarticolata. Abbiamo comunque questa dimensione interna alla vita della minoranza quindi abbiamo un dentro, un dentro non imposto dall’esterno, senza mura, diverso. Un dentro anche da proteggere” in una dialettica costante. Dialettica che ha molto da dire anche sul presente, la riflessione di Simonetta Della Seta, direttore fino allo scorso giugno del Meis e autrice del saggio “I sionisti italiani: fra nazionalismo italiano e nazionalismo ebraico”. “Possiamo parlare di ghetto, di emancipazione, parole che vengono usate anche oggi in altri contesti; della questione dell’integrazione, dell’immigrazione, del dialogo tra una cultura all’interno e all’esterno”, ha ricordato Della Seta, sottolineando come tutto questo sia strettamente legato all’esperienza ebraica italiana, da cui si possono trarre insegnamenti validi per la società di oggi. “Si tratta di resistere all’interno della propria cultura, anche nei momenti difficili, di ricercare il dialogo, anche nei momenti complicati, di un’esperienza che si basa sulla fatica e la tensione di integrarsi. Non sono queste questioni attuali che parlano all’uomo di oggi?”.