Spuntino
Il segno della benedizione

“E questa è la benedizione con cui benedisse Mosè uomo di D-o i figli di Israele prima della sua morte” (Deut. 33:1). In VeZot HaBerakha, l’ultima parashà del Pentateuco che si legge a Simchàt Torà, Mosè, Yish HaElokìm (=uomo di D-o), benedice il popolo. Le lettere che compongono la parola Elokìm alludono a cinque capisaldi caratteristici di Mosè: 1) alef – ahav et HaShem, amava D-o; 2) lamed – limed Torà, insegnava Torà; 3) he – he’evir ‘al midotav, dominava il proprio istinto; 4) yod – yirè Shamayim, (era) timorato del Cielo; 5) mem – medakdek ba-mitzvot, (era) puntiglioso ne(ll’osservanza de)i precetti. Risistemando la punteggiatura del versetto da cui siamo partiti si può ottenere la seguente rilettura: “e questa è la benedizione [..] (cioè) Elokìm.” Elokìm, inteso come acronimo, racchiuderebbe esattamente la benedizione in più punti espressa da Mosè al Popolo. Ma come si combina la dipartita di Mosè, una circostanza che dovrebbe rattristarci, con la festa di Simchat Torà che, insieme a Purìm, è uno dei giorni più allegri del calendario ebraico? Secondo l’ebraismo la vita di un uomo non si conclude con la sua sepoltura bensì prosegue anche attraverso l’influenza avuta sugli altri ed i traguardi raggiunti in questo mondo, che possono restare e lasciare il segno per molte generazioni, anche dopo migliaia di anni, come nel caso di Mosè. Questo è senz’altro motivo di gioia. Affinché la benedizione di Mosè si concretizzi dobbiamo cercare di elevarci al suo livello ispirandoci ai valori che ci ha trasmesso.

Raphael Barki

(8 ottobre 2020)