L’antirazzismo della formazione
Alba Dorata, il famigerato gruppo politico neonazista greco, è stato dichiarato fuori legge dalla giustizia ellenica; è divenuto ufficialmente una associazione a delinquere, una struttura criminale. Si tratta di un grande traguardo di civiltà per la Grecia e per l’Europa intera, che finalmente hanno concrete armi giuridiche per combattere una delle organizzazioni più pericolose tra i seminatori di odio del nostro continente. Davanti a un traguardo di questo rilievo si impongono alcune considerazioni.
Tanto di cappello, innanzitutto, alla democrazia greca, per aver saputo svellere alle radici una formazione dall’impianto ideologico spudoratamente antisemita e razzista che negli anni scorsi, nel pieno della gravissima crisi economica mondiale e delle sue drammatiche conseguenze in Grecia, era diventata il terzo partito politico nazionale. Uno schieramento che, fra l’altro, si era macchiato dell’omicidio di Pavlos Fyssas, rapper greco ucciso al Pireo nel 2013 con due coltellate al cuore. Con questo preciso addebito è stato condannato Georgios Roupakis, militante attivo dell’organizzazione; mentre il leader del movimento Nikos Michaloliakos è stato riconosciuto con lui colpevole di aver guidato il gruppo criminale che ha ispirato e di fatto condotto l’azione omicida. Non è casuale, comunque, che la liberazione da questa pesante minaccia sia avvenuta in una fase di netta ripresa economica e sociale della Grecia, ad evidenziare il fatto che i fenomeni di forte accentuazione e diffusione del razzismo e in genere del pregiudizio e dell’intolleranza sono legati a filo doppio con il malessere generalizzato, con situazioni di disagio economico e incertezza sul futuro, condizioni sulle quali le visioni totalitarie ed escludenti speculano da sempre.
Insieme all’ammirazione per la capacità del sistema politico-giudiziario ellenico, non può non emergere spontanea una domanda rispetto alla nostra situazione: perché in Italia non si intraprendono azioni altrettanto decise nei confronti di consimili associazioni fasciste quali Forza Nuova e CasaPound? Anch’esse sono fondate su un’identità profondamente intollerante, apertamente e orgogliosamente razzista, dichiaratamente antisemita. Per spiegare questa difformità occorre aprire un discorso articolato e complesso, che chiama in causa “il passato che non vuole passare” della nostra storia. Uso qui volutamente la terminologia della tedesca Historikerstreit degli anni Ottanta del secolo scorso. Mentre però per Ernst Nolte riferirsi al “passato che non passa” significava voler affrancarsi semplicisticamente dalla pesante eredità del nazismo di cui egli non ammetteva sino in fondo le spaventose responsabilità, ai nostri giorni e alle nostre latitudini impiegare questa espressione vuol dire non riuscire ancora a fare davvero i conti con quella fase lunga e tenacemente influente della nostra vicenda nazionale chiamata fascismo. In vari ambienti e settori – romani e non solo, giovanili e non solo – sono tuttora presenti forti radici fasciste, sentite come un saldo legame con un presunto glorioso passato di cui si rispetta la forza e l’influenza. A questi livelli, il fascismo è impropriamente avvertito come ideologia e movimento sostanzialmente diverso dal nazismo, non “colpevole” come lo era la visione hitleriana. Ed è purtroppo sentito come parte integrante della nostra identità storica, quindi implicitamente “assolto” di fronte alle sue pesantissime responsabilità, che di fatto spesso gli sono attribuite solo in parte e in modo alquanto sfumato. Sino a quando questa distorta ma ancora diffusa sensibilità popolare sarà operante, sarà ben difficile recidere con un taglio netto il legame col fascismo e con tutto il ciarpame che Mussolini e il Ventennio si portano dietro. L’aspetto più grave della questione è che l’esaltazione incosciente del Duce e della mitologia fascista, figlia diretta di una crassa ignoranza storica, è particolarmente diffusa in alcuni ambienti giovanili. Ciò genera appunto il seguito consistente, talvolta crescente di organizzazioni neofasciste che palesemente riprendono il credo originario razzista e antisemita, spesso rafforzandolo con robuste iniezioni di neonazismo. Il sostrato “popolare” e mitologico a cui esse si appoggiano rende molto difficile (sinora di fatto impossibile) sradicarle, anche se gli strumenti giuridici per farlo non mancherebbero. Il sistema giuridico italiano, prodotto di una struttura statuale democratica, è giustamente garantista ed equilibrato, ma la legislazione volta a impedire la ricostituzione del partito fascista e le norme tese a punire l’ideologia e le azioni di aperto razzismo permetterebbero in realtà di sciogliere gruppi di quel genere.
D’altro lato e cambiando la prospettiva di fondo, come insegnante sono convinto si debba andare oltre il doveroso obbligatorio e sacrosanto antirazzismo della condanna giuridica, che certo sancisce la violazione del diritto e punisce l’ingiustizia subita riuscendo talvolta a indebolire in modo decisivo le posizioni di chi agisce in nome del rifiuto dell’altro, ma mai è in grado di analizzare ed eliminare dal contesto sociale il succo del pregiudizio e il seme da cui esso nasce. Per superare il razzismo quale patologia sociale occorre in realtà agire in profondità sulla formazione, e prevalentemente in due sensi: da un lato formare a una visione inclusiva, al rapporto continuo positivo aperto costruttivo con tutte le alterità umane di cui il mondo è costituito, e farlo soprattutto attraverso la frequentazione attiva tra “diversi”; dall’altro aprire gli occhi anche in modo brutale sul male provocato in ogni direzione da una visione, da una politica, da una organizzazione razziste. Il ruolo della scuola è in questo senso assolutamente decisivo. Solo l’educazione stabile, praticata a una cittadinanza di collaborazione amichevole e costruttiva tra “diversi” potrà portare al fallimento, e quindi al superamento e alla chiusura definitivi, di organizzazioni fondate sull’odio dell’altro, quali appunto Forza Nuova e CasaPound.
Nel contesto attuale, peraltro, i pericoli di rifiuto sociale e l’urgenza di una pratica pedagogica basata sull’incontro sono ancora maggiori. Il Covid-19 ci divide forzatamente gli uni dagli altri, porta a chiudere, a diffidare, a temere, a separarsi e proteggersi dall’“altro” che per quanto incolpevole rappresenta il pericolo del contagio, e dunque tende a divenire inconsapevolmente “colpevole” di una responsabilità in parte ingestibile ma proprio per questo potenzialmente più dannosa. Oggi è quindi più che mai centrale, pur usando tutte le cautele anti-covid necessarie, non rischiare di portare al fanatismo la nostra protezione contro la pandemia, non perdere mai la testa e insieme ad essa la civiltà umana che continua invece a spingerci verso la vicinanza solidale e la collaborazione col prossimo, evitare l’esclusione pregiudiziale di chi è distante e differente da noi.
Questo impegno per la salvaguardia della nostra umanità e per lo svolgimento di un antirazzismo della formazione non è oggi meno impellente dell’azione giudiziaria contro i portatori di pregiudizio e le loro colpe.
David Sorani
(13 ottobre 2020)